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Quando non era presidente del Consiglio (ma faceva già politica pur se nelle formazioni giovanili), ai tempi del liceo, per Enrico Letta era un punto d’onore essere tra i primi della classe. In università, ambiva (naturalmente) al 30 e lode e ci restava davvero male se prendeva un 27. I dati Ocse che mostrano il Paese di cui presiede il governo come palla di piombo dell’eurozona, lo rattristano di sicuro. Lo avvilisce ancora di più, con tutta probabilità, la bozza delle previsioni di Fondo Monetario (che verranno rese note tra un paio di settimane a Washington): confermano essenzialmente i dati Ocse e quelli del ‘consensus’ (i 20 maggiori istituti econometrici internazionali, tutti privati, nessuno italiano) secondo cui l’Italia resterebbe anche nel 2014 il “fanalino di coda” dell’eurozona. Quindi il “CresciItalia” (in gran misura in attesa di decreti e regolamenti attuativi) non è servito a nulla. Poche speranze che incida il recente decreto del fare (appena convertito in legge ma per la cui attuazione si prospettano tempi biblici).

Cosa fare? Una politica neo-keynesiana di aumento della spesa (almeno per investimenti) è preclusa dal Fiscal Compact. Le privatizzazioni sembrano una chimera se non si va al livello del “capitalismo municipale”, ma ciò comporta ostacoli anche costituzionali (e il solo prospettarlo ha suscitato incubi di ricorsi al TAR, al Consiglio di Stato, da parte di tutta la casta).

L’unica strada è un programma di liberalizzazioni, come delineato nell’ultimo lavoro di Edmud Phelps (Cfr. Formiche.net del 28 agosto) e rafforzato dalla recente “Breve Storia della Libertà” di David Schmidts e Jason Brennan, appena pubblica dalla IBLLibri (per Letta un testo che si digerisce meglio di quello di Phelps).

Soprattutto potrebbe farne una battaglia “europea” non solo italiana nei prossimi appuntamenti dell’Eurogruppo e dell’Ecofin, mettendo sul piatto, ad esempio, che la regolamentazione per dare vita al mercato unico europeo (e farlo funzionare) ammonta a 150.000 pagine – ancora più carta è stata necessaria per la moneta unica ed ammennicoli vari; il costo dei regolamenti Ue su cittadini ed imprese è variamente stimato tra l’1 ed il 3,5% del pil complessivo dell’Europa a 27; lo documenta Alan Hardacre in un saggio pubblicato dall’Eipa (l’istituto europeo di formazione per la pubblica amministrazione, un ente che non inforca certo occhiali malevoli nei confronti delle istituzioni europee – che lo finanziano). In Germania, soltanto gli obblighi di fornire informazioni alla burocrazia federale (escludendo quella dei Länder) tocca 40 miliardi di euro l’anno (in base ad una stima effettuata su 7.000 dei 10.500 obblighi d’informazione individuati dal Consiglio federale per il Controllo della regolazione); l’ultimo rapporto annuale del Consiglio in questione afferma che si tratta di una stima per difetto, ma che il governo federale si è impegnato a ridurre costi delle regole su cittadini ed imprese del 25% e che, di riffa o di raffa, lo farà (la determinazione teutonica è nota, anzi notoria). I tedeschi hanno preso a modello l’Olanda che, secondo il più recente “International Regulatory Reform Report”, «è diventata un modello ed un leader internazionale in materia di riforma della regolamentazione». Anche la Francia (notoriamente statalista ed interventista) ci sta dando a fondo: dal 2006, afferma un saggio di Frédéric Bouder, si possono avere in otto giorni tutte le autorizzazioni per fare decollare un’impresa. In Francia, come in America dall’epoca del primo Governo Reagan (misura che nessun Presidente o Congresso successivo ha modificato), tra breve tutti i disegni e le proposte di legge dovranno essere corredati non solo di una relazione tecnica relativa all’impatto sul bilancio dello Stato (analoga a quanto dovrebbe essere predisposto in Italia con l’ausilio della Ragioneria Generale dello Stato) ma anche da un’analisi costi benefici (o costi efficacia) rigorosa.

In tal modo, eventuali richieste all’UE di carburante per rimettere in moro la macchina non avrebbero un sapore particolaristico. E potremmo evitare di essere gli ultimi della classe.

Come evitare di essere gli ultimi della classe

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