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I numeri non mentono e non perdonano. Negli ultimi dodici anni, in Italia l’aumento delle spese è stato di 275 miliardi di euro superiore all’aumento delle tasse. Di conseguenza, il debito pubblico nel 2012 ha varcato la soglia dei duemila miliardi e il suo onere ha pesato per 85 miliardi sui nostri conti. Traduzione: nessun governo è riuscito a sforbiciare sul serio gli sprechi o a frenare le malversazioni che si annidano nelle pieghe del bilancio pubblico, né tantomeno a fare una efficace lotta contro l’evasione fiscale.

SUL DEBITO LE IDEE LATITANO

Il ministro Fabrizio Saccomanni ha promesso che la spendig review produrrà nel prossimo triennio effetti pari a uno o due punti di Pil. Vedremo. Ma, anche concesso al commissario Carlo Cottarelli tutto il credito che merita, è sul fronte della riduzione del debito che le idee sembrano latitare. Non c’era bisogno della tirata d’orecchie di Bruxelles per ricordare al governo Letta che, se non si riduce significativamente lo stock del debito, continueremo a pagare interessi che peggioreranno ulteriormente il bilancio statale.

URGONO PRIVATIZZAZIONI E CARTOLARIZZAZIONI

Sebbene l’ultima versione del Fiscal compact preveda forti attenuazioni dell’obbligo quantitativo di diminuzione globale del debito nelle prossime due decadi, occorre comunque tagliarlo in una misura considerata soddisfacente dai mercati. È quindi inutile cincischiare: la restituzione al settore privato di imprese e attività oggi in mano allo Stato è la via più spedita e apprezzata dai mercati. Come proposto da più parti, nuove privatizzazioni possono avvenire conferendo quote del patrimonio pubblico – non solo immobiliare – a una società esterna, che le cartolarizzi collocando titoli sul mercato che possano abbattere per un’importo corrispondente il debito. Operazione non priva di difficoltà, è vero. Ma nel 1870 Quintino Sella risolse il problema del pareggio di bilancio anche mediante l’alienazione dell’asse ecclesiastico, vincendo resistenze politiche allora ritenute insormontabili.

 L’IPOTESI DEL PRESTITO FORZOSO

C’è però una seconda strada per decimare il debito, parallela e non alternativa alla prima. L’ha rilanciata qualche tempo fa Franco Reviglio. È quella del prestito forzoso, assai meno dirompente dell’imposta patrimoniale che resta nelle corde di alcuni ambienti della sinistra. Con una ricchezza nazionale privata pari a otto-nove trilioni, il debito pubblico ne rappresenta circa un quinto. Una riduzione del debito limitata al 15 per cento, necessaria per raggiungere – insieme alle privatizzazioni – uno stock intorno al 90 per cento del Pil, sarebbe pari solo al tre per cento della ricchezza nazionale. Un prestito forzoso di questa dimensione  -suggerisce Reviglio – potrebbe essere graduato con aliquote molto basse all’inizio, più elevate in rapporto all’incremento della ricchezza nazionale.

Visti anche gli attuali tassi d’inflazione in picchiata, ci sono altri modi per abbattere il debito pubblico? La storia economica ci dice di no. Il guaio è che nel nostro Paese non mancano le ricette, manca il coraggio politico in classi dirigenti poco lungimiranti.

Michele Magno 

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