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Ma ha senso continuare a presentare il Mezzogiorno solo come un deserto industriale come si scrive nel Rapporto della Svimez che abbiamo discusso a Roma giovedì 17?
Ha senso parlare di imminente deindustrializzazione dei territori merdionali, quando – nonostante la durissima recessione degli ultimi anni – settori strategici dell’industria italiana continuano a localizzarsi e a produrre proprio nel Sud? E nello stesso Rapporto 2013 della Svimez non sono forse ospitati saggi sul manifatturiero nelle regioni meridionali che smentiscono ogni eccesso di catastrofismo?

Nessuno certo vuole ignorare le dismissioni aziendali minacciate, incombenti o rientrate, le crisi anche prolungate di molti stabilimenti, le riduzioni di loro personale, il ricorso agli ammortizzatori sociali, le persistenti difficoltà dell’edilizia; e naturalmente nessuno vuole ignorare le mobilitazioni sindacali e popolari e l’impegno di Istituzioni che stanno arginando molti eventi annunciati, come ad esempio in Puglia le vertenze della Bridgestone e della Natuzzi. Ma raffigurare già il Meridione come un grande cimitero industriale, o in procinto di diventarlo, non solo non corrisponde in alcun modo alla realtà, ma rischia – al di là delle intenzioni di chi ne scrive – di produrre solo altri effetti negativi.

Ma scusate, se dopo 63 anni di interventi dello Stato e dell’Unione Europea nel Sud i risultati appaiono nulli o, peggio, hanno accumulato solo macerie di fabbriche di ogni dimensione, ma perché Ue e Stato italiano dovrebbero continuare a destinare risorse a territori desolati e senza futuro? Meglio stanziarli allora per altre zone del Paese o per quegli Stati europei che invece stanno crescendo molto negli ultimi anni.
Ma poi scopriamo che il Mezzogiorno, nonostante tutto, continua a produrre un valore aggiunto dell’industria manifatturiera che supera quello di interi Stati europei come Finlandia, Romania, Danimarca, Portogallo, Grecia, Croazia, Slovenia e Bulgaria.
Poi scopriamo che il Sud detiene tuttora il primato nazionale nella produzione di laminati piani e di etilene, nell’estrazione e raffinazione petrolifera, in quella di auto, veicoli commerciali leggeri, prodotti dell’industria molitoria e pastaria e che compete a livello mondiale nell’aerospaziale, nella produzione di energie rinnovabili, nel materiale ferroviario, nel tessile-abbigliamento-calzaturiero e nel farmaceutico.

Allora se – come giustamente si afferma – è necessario un rilancio dell’intero Paese partendo dal Mezzogiorno, non sarebbe il caso di indicare con chiarezza quelli che restano i punti di forza della sua industria che già servono tutta l’Italia e che ancor più possono esserle necessari per dare un colpo di reni contro la crisi e per uscire dalla recessione ? E non bisogna poi dare merito a tanti piccoli e medi industriali e a tanti dirigenti d industrie del Sud che ogni giorno lottano con successo sul mercato interno e su quelli esteri, invece di presentarli come sopravvissuti sparuti e timorosi di presunti tsunami industriali in un paesaggio lunare?

Federico Pirro – Università di Bari – Centro studi Confindustria Puglia

Vi spiego perché il catastrofismo sul Sud è falso e mortifero

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