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In USA nei giorni scorsi si è arrivati al cosiddetto shutdown, ovvero la chiusura degli uffici federali, causa mancato accordo tra la Casa Bianca e l’opposizione repubblicana sulla legge di budget 2013-2014, grosso modo la nostra legge di Stabilità.
Questo muro contro muro tra Casa Bianca e Repubblicani pare adesso mostrare qualche spiraglio di trattativa.
Tuttavia, al di la dell’esito finale che si produrrà nei prossimi giorni, la storia alla quale abbiamo fin qui assistito è esemplificativa di come la capacità di comunicare e negoziare possa alla fine irrigidire le posizioni fino a questo punto.

Lo shutdown è, per intendersi, una sorta di esercizio provvisorio, che scatta quando non si
trova l’accordo sulla legge di bilancio. Questo comporta una forte riduzione dell’attività degli uffici federali, cioè la pubblica amministrazione centrale, a causa dell’improvviso blocco o rallentamento dei finanziamenti pubblici.
Negli Stati Uniti, più che altrove, il tema di quanto costa al cittadino la pubblica amministrazione è sempre molto sentito. In particolare dai repubblicani e dalla destra in genere, i quali sostengono – non senza qualche ragione – che maggiori fondi alla macchina statale significano inevitabilmente maggiori sprechi.
Di conseguenza, sostengono, tanto più Casa Bianca e Parlamento la finanziano, tanto più il suo appetito diventa insaziabile. Da qui la celebre espressione starving the beast, affamare la bestia. Ovvero la convinzione che riducendo i fondi agli uffici pubblici se ne ridurrà anche l’appetito e impareranno ad utilizzarli in modo più efficiente.

Perché questa volta l’accordo tra Casa Bianca e opposizione non si è trovato e si è arrivati a questo punto?
I motivi, come sempre accade in politica, sono diversi ma, sempre come accade in politica, uno è prevalente sugli altri. Questo motivo è la cosiddetta Obamacare, la legge cara al Presidente, per la quale si era impegnato nella prima campagna elettorale, e che prevede l’estensione dell’assistenza sanitaria a fasce della popolazione prima escluse.
Sarebbe qui troppo lungo entrare nei tecnicismi, diciamo però che, a differenza di quanto si potrebbe pensare, non prevede l’istituzione di un servizio sanitario nazionale gratuito, come siamo abituati a vedere in Europa, ma solo un voucher in parte finanziato da Governo federale e Stati che consente l’acquisto di polizze sanitarie da parte di chi finora non aveva possibilità di farlo.
Si tratta di una legge complessa e molto contestata dai Repubblicani e dal movimento conservatore Tea Party.

In sintesi, i Repubblicani hanno chiesto, in cambio della collaborazione in Parlamento sulla legge di bilancio e la fine dell’ostruzionismo, il filibustering, pesanti tagli alla Obamacare, tali da affossarla di fatto.
Obama si è opposto perché in questo modo avrebbe accettato la fine della sua creatura, l’impronta che il Presidente intende lasciare del suo mandato. Risultato: il blocco delle trattative e quindi lo shutdown.

Recentemente è intervenuto sul tema anche Jack Welch con un articolo pubblicato su Linkedin e poi ripreso da molte testate internazionali.
Welch sostiene che Obama e i Repubblicani hanno perduto l’arte della negoziazione perché hanno perso l’abitudine a quella che viene definita schmoozing, ovvero la capacità di instaurare un rapporto onesto, trasparente e rispettoso con i propri avversari, requisito necessario per poter raggiungere un compromesso quando serve e scongiurare una crisi. In questo modo, dice Welch, i nemici diventano amici con opinioni differenti.
È evidente che per fare ciò è necessario iniziare per tempo, prima che la crisi si verifichi. Ed è per questo che Welch dice che fare schmoozing in tempi di pace è ciò che contraddistingue un vero leader da altri.

Abbiamo chiesto un’opinione per Formiche al Prof. Adelino Cattani, docente di Teoria dell’Argomentazione all’Università di Padova ed esperto di comunicazione in situazioni conflittuali.

Da esperto di gestione dei conflitti, che suggerimento darebbe a Obama e ai Repubblicani?
Obama sostiene che l’opposizione alla riforma sanitaria è pura “crociata ideologica”. I repubblicani sostengono che è una scelta di “equità verso il popolo americano”.
Obama giudica lo shutdown un atto ricattatorio e ritorsivo. I repubblicani lo presentano come un gesto altruistico, e non politico. Le posizioni sembrano incommensurabili. Si tratta di un’impasse, nella quale non pare possibile addurre nessuna altra ragione che possa essere utile per ottenere la minima concessione.
Per superare questo intollerabile surplace, determinato da un disaccordo profondo, l’esperienza suggerisce di riconsiderare le cose sotto una luce diversa passando da mosse tattiche controversiali o concessive o compromissorie a mosse strategiche del tipo che consiglia David Zarefsky in un suo recente (2012) saggio, The Appeal for Trascendence: A Possibile Response to Cases of Deep Disagreement, che vanno dalla individuazione delle contraddizioni nella posizione della controparte all’incorporamento delle tesi, dall’appello a
valori esterni, come giostrare sul tempo (urgenza/dilazione), allo spostamento di terreno.
Questa problematica è altresì al centro d’interesse del Master in Teoria dell’Argomentazione e pratica della comunicazione strategica. Gestione di crisi, conflitti ed emergenze attivato presso l’Università di Padova http://www.unipd.it/master

Professore, secondo lei la classe dirigente italiana è disponibile a investire tempo nel costruire rapporti solidi e trasparenti con i propri avversari o questo è qualcosa fuori dalla nostra cultura?
Instaurare rapporti solidi e trasparenti non è usuale nemmeno con semplici interlocutori. Più difficile ancora è quando chi abbiamo di fronte è, o viene considerato, un avversario. Va ancor peggio se si tratta di un avversario politico. La consegna del “sediamoci e discutiamone”, fa parte certamente della nostra cultura e della nostra tradizione, ma sono una cultura pseudo-dialogica ed una tradizione pseudoirenistica, dato che il dialogo è sempre lodato anche e soprattutto da chi non è disposto a smuoversi di un millimetro dalle sue “irrevocabili” posizioni. Bene sarebbe rinunciare all’idea invalsa per cui “la discussione è una guerra” e, di conseguenza, quando discuto, penso e mi comporto come “di fronte a un nemico”.
In questa ottica, anche in presenza di possibilità di compromesso, ognuno dei due schieramenti tende a radicalizzare la sua posizione, con conseguente irrigidimento e inasprimento del conflitto.
In degna alternativa al duello potremmo concepire la discussione come un duetto o un gioco a due.

Oltre ad avere la pazienza di costruire rapporti solidi e trasparenti, quali altre doti deve avere il bravo negoziatore?
In primo luogo dovrebbe saper distinguere tra dibattito polemico e scambio negoziale o trattativa e diversificare il proprio comportamento nei due casi; in secondo luogo, capire se il conflitto è sui fatti o sulle regole, sui principi o sugli interessi.
Essere risoluto, ma insieme tatticamente sensibile agli interessi della controparte e moderatamente flessibile.
Una buona contrattazione richiede capacità di analisi e di sintesi: il negoziatore è consapevole che sussistono diverse possibilità di accorsi/disaccordi, sia in merito ai fatti sia in merito alle procedure, ed ha acquisito una perspicacia nella individuazione di queste mutevoli possibilità.
Dal punto di vista delle relazioni interpersonali, inoltre, dovrebbe dimostrarsi disponibile a riconoscere legittimazione e credito, sia pur limitati, alla controparte ed essere ragionevolmente affabile.

Le è mai capitato di conoscere un bravo negoziatore? Un tessitore che l’ha colpita particolarmente?
Nelson Mandela è un esempio di capace e intelligente negoziatore, un risolutore di problemi, che ha saputo tenere conto anche degli interessi e dei timori della controparte.
Di lui è apprezzabile lo spirito e l’esercizio della negoziazione: gli storici risultati di pacificazione da lui conseguiti sono ben noti a tutti; lo spirito del suo atteggiamento negoziale si riassume nel parallelo inverso da lui concepito: “La differenza tra gli atleti olimpici e noi sta nel fatto che loro si comportano come amici di sempre a cui capita di confrontarsi, mentre noi ci comportiamo come avversari di sempre a cui capita di collaborare”.

Il Prof. Adelino Cattani è docente di Teoria dell’Argomentazione all’Università di Padova.
Ha ideato e conduce una “Palestra di Botta e Risposta”, attività di formazione giovanile al dibattito http://www.educazione.unipd.it/bottaerisposta/

È autore dei seguenti volumi:
Forme dell’argomentare. Il ragionamento tra logica e retorica (1990, 1994 2a edizione).
Botta e risposta. L’arte della replica, (2001, rist. 2013). Trad. spagnola, Los usos de la retórica (2003).
Come dirlo? Parole giuste, parole belle (2008), Trad. spagnola Expresarse con acierto (2010).
50 Discorsi ingannevoli. Argomenti per difendersi, attaccare, divertirsi (2011).
È coautore e curatore de La svolta argomentativa. Cinquant’anni dopo Perelman e Toulmin (2009) e Argomentare le proprie ragioni. Organizzare, condurre e valutare un dibattito (2011).
Dibattito. Doveri e diritti, regole e mosse (2012).

La comunicazione e l’arte della negoziazione: il caso dello shutdown in Usa

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