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È cominciato martedì il forum dei Brics ospitato quest’anno dalla presidenza di turno del Sudafrica a Johannesburg. Dopo anni di scarso interesse (se non addirittura oblio) a livello internazionale nei confronti di questo vertice, quest’anno le aspettative e il clamore mediatico sono risaliti a livelli che non si vedevano forse dai primi incontri dei Paesi membri, sull’onda del felice acronimo inventato dall’economista di Goldman Sachs Jim O’Neill ormai quasi vent’anni fa. I sostenitori più calorosi del gruppo dei Brics (che è formato, ricordiamo, da Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica) confidano che il summit 2023 sia l’occasione da parte del cosiddetto “Global South” per lanciare il guanto di sfida all’Occidente, impersonato dal G7 e in particolar modo dalla leadership degli Stati Uniti. Ma sono davvero maturi i tempi per dare vita a un nuovo ordine mondiale?

Innanzitutto, partiamo da considerazioni di carattere geopolitico. È indubbio che i membri dei Brics non siano tra i maggiori alleati degli Usa (a cominciare ovviamente dalla Cina, che di Washington è attualmente il principale rivale sistemico) e che sulle principali questioni attuali di carattere internazionale, come la guerra in Ucraina, non si siano schierati con nettezza a favore di Kiev (ovviamente ad eccezione della Russia che è parte in causa).

Tuttavia, a ben guardare è difficile pensare che le cinque potenze che compongono i Brics possano dare vita ad uno schieramento comune e compatto contro gli Stati Uniti. A partire da ragioni puramente formali e contingenti: pensiamo ad esempio al fatto che Vladimir Putin non si è potuto recare in Sudafrica, dove sarebbe dovuto essere immediatamente arrestato poiché il Paese fa parte della Corte Penale Internazionale (che ha appunto emesso un mandato di cattura nei suoi confronti). Ma si pensi anche a situazioni dal valore decisamente più strategico, come ad esempio la partecipazione dell’India al Quad, l’alleanza indo-pacifica di carattere difensivo che comprende anche Usa, Giappone e Australia in chiave anti-cinese. Oppure, al fatto che il Brasile (nonostante il ritorno di Lula al potere) si guardi bene dal dichiarare ostilità all’Occidente, avendo bisogno di cooperare con Usa ed Europa – soprattutto a livello commerciale e di investimenti.

Sembra invece più interessante quello che sta bollendo in pentola dal punto di vista economico. Non c’è dubbio che i Brics siano un blocco estremamente importante, valendo oggi circa il 32% del Pil globale (una quota raddoppiata nel giro di 25 anni) contro il 29% dei Paesi del G7. Tuttavia, è sufficiente una semplice scomposizione del dato aggregato per accorgersi che il Pil della Cina vale più di quello degli altri 4 partner messi insieme. Non si tratta insomma di un gruppo equilibrato (né tantomeno omogeneo), e anzi si potrebbe dire di uno strumento largamente influenzato da Pechino per i propri scopi geoeconomici. Uno su tutti, quello dell’internazionalizzazione della propria valuta (il renminbi) per tentare di indebolire il primato del dollaro. Sul tavolo c’è infatti la proposta di dar vita ad una moneta unica dei Brics, una specie di “euro 2.0” che servirebbe per soppiantare la valuta statunitense per fare a meno di Washington. In realtà, le strutture economiche troppo divergenti tra questi Paesi rende una simile idea del tutto impossibile da mettere in pratica, quantomeno allo stato attuale. Diverso è il discorso relativo agli accordi bilaterali per regolare i pagamenti di natura commerciale, che prevedono sempre più l’utilizzo del renminbi cinese o delle valute locali e che potrebbero portare nel giro di alcuni anni alla riduzione del dollaro come mezzo di pagamento internazionale (ma non come valuta di riserva e sottostante per gli asset finanziari).

In conclusione, è ancora presto per dichiarare il tramonto dell’Occidente. Il gruppo dei Brics va certamente seguito con attenzione, anche perché ci sono oltre 20 Paesi che hanno chiesto di farne parte e dunque in futuro, se il coordinamento dovesse funzionare, la sua massa critica a livello politico potrebbe aumentare significativamente e giocare un ruolo importante nell’orientare le decisioni di organizzazioni internazionali come Onu, Fmi o Omc. Tuttavia, le differenze e divergenze tra gli attuali membri sono eccessive al punto da considerare premature iniziative di integrazione economica e finanziaria.

Questo non significa che il mondo non sia entrato in una nuova fase in cui la distribuzione del potere sarà sempre più distribuita e frammentata; ma per dare il “benservito” al dollaro e allo zio Sam ci sarà da attendere ancora parecchio.

(Foto Twitter/ClaysonMonyela)

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Il gruppo dei Brics va certamente seguito con attenzione, anche perché ci sono oltre 20 Paesi che hanno chiesto di farne parte. Tuttavia, le differenze e divergenze tra gli attuali membri sono eccessive al punto da considerare premature iniziative di integrazione economica e finanziaria. Il commento di Giovanni Castellaneta

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