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La settimana scorsa è stata una settimana molto importante per la riattivazione del processo di pace tra Israele e Palestina. A dare nuovo stimolo al processo è stata l’azione di John Kerry, Segretario di Stato degli Stati Uniti. Da quando è entrato in carica, sostituendo Hillary Clinton a gennaio 2013, Kerry ha visitato la regione ben 6 volte. Dopo una serie di incontri a Ramallah e Amman, venerdì (19 luglio 2013) ha annunciato che sono state poste le basi per un rilancio del dialogo diretto tra israeliani e palestinesi. I primi appuntamenti, per strutturare i dettagli del dialogo e procedere ad una sua formalizzazione, sono previsti per questa settimana a Washington. Israele sarà rappresentata dal Ministro della Giustizia, Tzipi Livni, mentre il negoziatore per la Palestina sarà Saeb Erekat, membro del Parlamento palestinese. Lo stesso John Kerry ha affermato che “quando questo processo è iniziato, vari mesi fa, c’erano molte lacune tra le due parti. Noi siamo riusciti a restringere significativamente tali distanze”.

Nonostante alcune reticenze e ostacoli, la speranza di raggiungere una soluzione pacifica della questione non è ancora del tutto svanita. Le criticità sul tavolo restano sempre legate alla necessità di trovare un accordo relativo alle divisioni territoriali, con particolare riferimento ai territori occupati in Cisgiordania e Gerusalemme Est da parte di Israele. In questo ambito grande rilievo potrà avere la decisione UE di bloccare i finanziamenti alle attività portate avanti dagli israeliani nei citati territori.

Il Primo Ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, ha affermato venerdì che “il ripristino del dialogo è vitale per lo Stato di Israele”. Nel suo comunicato settimanale di domenica, 21 luglio 2013, al Governo israeliano, Netanyahu ha avanzato la proposta di sottoporre la riattivazione del dialogo a referendum. È importante notare che il ricorso a referendum richiederebbe  modifiche legislative da parte della Knesset. Su questo punto è ipotizzabile una forma di opposizione da parte di coloro che, all’interno del Parlamento, non credono possibile la riattivazione del dialogo con la Palestina. Molte preoccupazioni si sollevano anche dal Governo israeliano. Il Ministro per il Commercio, Naftali Bennett, ha affermato di non poter tollerare un accordo che preveda la creazione di uno stato palestinese indipendente in Cisgiordania. Secondo Israele negoziare su questo punto è difficile se non impossibile. Restituire i territori occupati alla Palestina renderebbe lo stato di Israele più vulnerabile e soggetto a politiche di potenza regionali, senza escludere il rischio di incursioni terroristiche, supportate da Iran e dagli Hezbollah. Netanyahu ha perciò cercato di stemperare tali preoccupazioni, di fatto rendendo instabile la riattivazione del processo di pace.

Sulla questione territoriale si muove anche la riluttanza palestinese a riprendere il dialogo. La premessa palestinese per negoziare la pace e procedere alla creazione dei due stati resta sempre quella di avere una garanzia israeliana di accettare uno stato palestinese sulla base territoriale precedente l’occupazione militare israeliana del 1967. Giovedì 19 luglio 2013 il Presidente palestinese, Mahmud Abbas, non è riuscito a convincere il comitato esecutivo dell’OLP a dare il suo assenso alla proposta statunitense. Oggi è prevista una nuova riunione dell’organismo dalla quale si attendono decisioni importanti per le azioni in atto. Secondo il portavoce di Hamas, Fawzi Barhoum, il ripristino del dialogo è visto come una forma di “indebolimento davanti alle estorsioni degli Stati Uniti”. Ciò nonostante non bisogna dimenticare che a maggio 2013 gli Stati Uniti hanno presentato un pacchetto economico di partenariato pubblico-privato di 4 miliardi di dollari da utilizzare per rilanciare l’economia nei territori palestinesi. Per i palestinesi avere accesso a questi finanziamenti costituisce un elemento di fondamentale importanza, che non può essere ostacolato dalle reticenze ad accettare lo stimolo degli Stati Uniti al dialogo.

È evidente che l’iniziativa di John Kerry non offre garanzia di successo e che gli ostacoli da superare sono tanti. Tuttavia la volontà di dare slancio al processo di pace non è del tutto morta. Il presidente israeliano, Shimon Peres, si è congratulato telefonicamente con il presidente palestinese, Abbas, per la sua decisione di tornare al dialogo. Secondo le parole di Peres “non c’è alternativa alla pace”. La volontà di Abbas di tentare il ritorno al tavolo negoziale è vista da Peres come una decisione storica e coraggiosa, nonostante il diffuso scetticismo.

L’impegno a raggiungere un accordo pacifico si rileva anche dalle prime forme di cessione alle richieste dell’Autorità Palestinese date dal Governo israeliano, impegnatosi a liberare alcuni prigionieri politici palestinesi. L’annuncio è stato fatto domenica (21 luglio 2013) dal Ministro per gli affari strategici, Yuval Steinitz. Secondo una stima dell’Associazione Addamer, i prigionieri politici palestinesi nelle carceri israliane sono 4.979, di cui 105 imprigionati prima degli accordi di Oslo del 1993.

Gli Stati Uniti rilanciano il dialogo tra Israele e Palestina

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