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Un piano B per il Monte dei Paschi di Siena. Sembrano lontani anni luce i tempi in cui il governo, Draghi prima, Meloni poi, si affannava a ricercare un compratore per Rocca Salimbeni, restituendo la banca al mercato e disimpegnando il Tesoro, oggi azionista al 64%, così come pattuito con l’Europa. Tutto in naftalina e Mps solidamente in mano pubblica, con Luigi Lovaglio al timone?

Non proprio, un piano c’è, raccontano fonti ben attente alle vicende senesi. Tutto ancora fumoso, solo un’idea abbozzata lì, ma forse l’unico stratagemma per uscire dall’impasse. Premessa, il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti non ha fretta di vendere Mps, questo lo ha fatto capire più volte. E non ce l’ha nemmeno Giorgia Meloni. La banca si sta d’altronde progressivamente risanando, anche grazie all’azione dello stesso Lovaglio (Mps ha terminato il 1° semestre del 2023 con un utile netto di 619 milioni di euro, rispetto ai 53,1 milioni contabilizzati nello stesso periodo dello scorso anno e nel solo 2° trimestre l’utile netto è stato di 383 milioni di euro) mentre l’istituto sta lentamente riacquistando valore in Borsa, dopo gli anni bui del 2020-2021. Negli ultimi sei mesi il titolo a Piazza Affari ha guadagnato il 43%, il 26% da inizio anno).

Dunque, perché regalarla a tutti i costi? Vero, ma c’è da fare i conti con Bruxelles, che vorrebbe lo Stato fuori da Mps entro fine 2024. E allora ecco la carta, un disimpegno progressivo con piccole quote. Una diluizione a scaglioni che, viene raccontato, potrebbe partire già nei primi mesi del prossimo anno, con una quota compresa tra il 10 e il 15%. La ragione c’è, ma è molto più pratica di quello che sembra: fare cassa. Il Tesoro, viene fatto intendere, ha necessità di liquidità e collocare piccoli pacchetti sul mercato in un momento in cui il titolo tira e la banca torna a macinare utili può essere un’idea. Certo, la grande suggestione rimane sempre un cavaliere bianco che si accolli Siena in un sol colpo, magari Unicredit. Ma il ceo di Gae Aulenti Andrea Orcel al momento sembra confermare la sua poca inclinazione a un intervento su Mps.

Nell’attesa (dalla corsa Palazzo Chigi punta quasi certamente a escludere soggetti stranieri), bisogna darsi da fare. E un disimpegno scaglionato può essere una strada, visto che lascerebbe comunque il Mef in una posizione forte nel capitale che eventualmente consentirebbe di giocare in futuro la carta delle alleanze e delle aggregazioni che al momento sembrano rimandate. C’è una seconda ragione, che guarda direttamente al palazzo. L’attuale amministrazione senese, sostenuta da Lega, FdI e Forza Italia, vorrebbe andarci molto cauta prima di rimescolare il capitale di Rocca Salimbeni. Fosse per Palazzo Chigi, invece, l’uscita del Tesoro avrebbe tempi più celeri. Per questo il punto di caduta potrebbe essere un addio in più riprese.

Mps, il piano B del governo per l'uscita soft

Sono lontani i tempi in cui ci si affannava a trovare un cavaliere bianco in grado di prendersi il Monte dei Paschi in un solo boccone e liberare il Tesoro. Ora che la banca ha ripreso vigore sui listini ed è tornata a fare utili, la strada da battere è quella di un disimpegno scaglionato. E questo per tre ragioni

 

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