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Perchè va “tipizzato” il reato e dimezzata la pena per il  “concorso esterno in associazione mafiosa”, come prevede il testo, appena assegnato alla Commissione Giustizia del Senato, relatore l’ex magistrato Giacomo Caliendo (PDL). ?

Ai giuristi la risposta tecnica.

Noi, che giuristi non siamo, vi raccontiamo il calvario giudiziario, durato ben 15 anni, di una delle non poche vittime “eccellenti” del “concorso esterno”-tra gli altri : Andreotti, Mancini, dell’Utri, Contrada, Musotto, Carnevale- che Giulianone Ferrara ha ribattezzato il “reato di chiacchiera”.

Ci riferiamo a un ex ministro della sinistra DC, il siciliano Calogero Mannino, che fu avvisato di reato nel febbraio del 1994, solo 1 mese prima della vittoria di Silvio Berlusconi, alle elezioni, contro la “gioiosa macchina da guerra”, guidata, maldestramente, da Occhetto (PDS). L’illustre indagato, arrestato il 13 febbraio del 1995, fu tenuto in cella a Rebibbia per 9 mesi e rinchiuso in casa, agli arresti domiciliari, per 1 altro anno e 2 mesi.

In prigione, Mannino si ammalò, perse 30 chili e urinò sangue. Al suo legale-che, per ben 4 volte, sollecitò la concessione della detenzione nella residenza dell’ex deputato – la sostituta del Procuratore Caselli, Teresa Principato, rispose :” Don Calogero è dimagrito ? Avvocato, è tutta salute !…”.

Alcuni mafiologi scrissero che, più che condannarlo per mafia, i magistrati avrebbero voluto fare dell’ex ministro dell’Agricoltura il primo grande “pentito” della politica, il Buscetta del Parlamento. Se Mannino, invece di resistere, fosse crollato, se avesse “cantato”, come un Brusca qualunque, e avesse accusato Lima, Andreotti e la DC, le porte del carcere sarebbero state spalancate e le accuse sarebbero cadute. Cosi’ non è stato

Il processo di primo grado a Mannino è stato il più lungo dibattimento, per mafia, mai celebrato a Palermo. E’durato 5 anni e mezzo : 300 udienze, 400 testimoni, 25 “pentiti”, oltre 5 mila pagine di atti processuali fino all’assoluzione dell’imputato “perchè il fatto non sussiste”, pronunciata nel luglio del 2001, qualche mese dopo la seconda vittoria elettorale di Berlusconi contro il centro-sinistra, all’epoca guidato da un giovane leaderino, Francesco Rutelli.

Il processo d’ Appello, cominciato nell’aprile del 2003, si concluse, l’ anno successivo, con una stangata di 5 anni e 4 mesi, appioppata a Mannino, per “concorso esterno in associazione mafiosa”.

Ma, nel 2005, contrordine : le sezioni unite della Cassazione annullarono la condanna, rinviando gli atti a Palermo. Il secondo processone d’ Appello-che, prima di cominciare, dovette attendere la pronuncia della Consulta ( che bocciò la legge, che prevedeva che bastasse l’assoluzione in primo grado per chiudere la partita)- si concluse con l’assoluzione dell’imputato, il 22 ottobre del 2008.

Tutta la vicenda presentò un aspetto, che non ha precedenti nella storia giudiziaria del nostro Paese e di qualsiasi altro Stato del mondo. Per i 2 anni dell’inchiesta iniziale ; per i 5 anni e mezzo del processo di primo grado ; per i 2 anni del primo processo d’ Appello ; per i 2 anni di attesa dell’annullamento della Cassazione ; per la sospensione, in vista del secondo giudizio di Appello, la pubblica accusa, in nome del popolo italiano, contro il presunto, “infame concorrente di Cosa Nostra”, don Calogero Mannino, venne sostenuta, con rigore e severità, dallo stesso magistrato. Costui, Vittorio Teresi, fece in tempo a svolgere le indagini preliminari, il processo di primo grado, il primo processo d’ Appello. E, dopo ben 3 anni, si trovò pronto a sostenere l’accusa, nel secondo processo d’Appello, dopo l’annullamento, deciso dalla Cassazione.

Una caratteristica, questa, che va evidenziata a quanti, ormai da una vita, promettono, non mantenendo l’impegno, di riformare la giustizia, di separare le carriere o, perlomeno, di distinguere le funzioni delle toghe. Nel caso di Mannino, Teresi ha dedicato ben 14 anni della sua vita di integerrimo servitore dello Stato a inquisire e a chiedere una pesante condanna al carcere duro, ex articolo 41 bis, per lo stesso imputato.

14 anni di sofferenze e di umiliazioni dell’imputato, di ingentissime spese processuali per arrivare a concludere ciò che il Procuratore generale della Cassazione, nel sollecitare l’annullamento dell’ultima condanna, ha cosi’ definito :” Nella sentenza della condanna di Mannino, non c’è nulla !

La sentenza torna, ossessivamente, sugli stessi concetti. Ma non c’è nulla, che si lasci apprezzare, in termini rigorosi e tecnici. Nulla, che possa valere a sostanziare l’accusa di “concorso esterno in associazione mafiosa”. Questa sentenza costituisce un esempio negativo, da mostrare agli uditori giudiziari, di come una sentenza non dovrebbe, mai, essere scritta…”.

pietro mancini

Modifiche al "concorso esterno" in mafia? I contrari ricordino il calvario di Mannino!

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