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La libertà religiosa si incrocia con le vicende politiche nella più grande democrazia del mondo, l’India. Con effetti geopolitici importanti, che riguardano le relazioni con la principale potenza globale, gli Usa.

Modi, persona sgradita
In questi giorni la Commissione americana sulla libertà religiosa internazionale ha ribadito la volontà di negare il visto di ingresso negli Stati Uniti a Narendra Modi, il primo ministro dello Stato del Guyarat (60 milioni di abitanti). Modi è accusato, anche in base alla conclusione di un’indagine indiana, di non aver fatto tutto ciò che era necessario per impedire i pogrom antiislamici del 2002, durante i quali morirono centinaia di persone. All’epoca Modi era appena stato eletto primo ministro del Guyarat, e proveniva dalle fila del Rss (“Organizzazione nazionale patriottica”), il movimento giovanile nazionalista indù in cui serpeggia l’intolleranza per cristiani e musulmani.

Il dopo-Boston di Khan
Nei giorni scorsi un’alta delegazione dello Stato dell’Uttar Pradesh ha dovuto cancellare gli impegni presi sul suolo americano per protesta contro la breve detenzione del ministro dello sviluppo urbano Azam Khan all’aeroporto di Boston. Il primo ministro Akilesh Yadav è rientrato in India senza aver portato a termine gli incontri prefissati, non senza una scia di polemiche. La cosa è aggravata dal fatto che Khan, che ha lamentato la scarsa attenzione al suo caso da parte delle autorità indiane, è di religione musulmana. In entrambi i casi, le relazioni tese centro-periferia non sono estranee alla dinamica dei fatti. Il “modello Guyarat” di sviluppo economico a due cifre, attrazione di investitori esteri e nazionalismo regionale indù ha una forte attrattiva politica, tanto da proporre Modi come possibile leader nazionale del partito popolare indiano (Bjp) di centrodestra alle prossime elezioni del 2014.

Una patata bollente pre-elettorale
Ancora più intricata la questione dell’Uttar Pradesh, gigante tanto in termini demografici (200 milioni di abitanti, 50 in più della Russia) quanto economici, essendo il secondo Stato in termini di Pil. A guidarlo è Yadav, giovane e carismatico leader del partito socialista (Sp), di cui il ministro Khan, fermato a Boston per qualche drammatico minuto, è personaggio-chiave per far confluire i voti dei musulmani (circa il 20% della popolazione dell’Uttar Pradesh). Il partito Sp è a sua volta un potente terzo incomodo nella lotta nazionale tra Bjp e Congresso di Sonja Ghandi. Il Congresso è al governo federale di Nuova Dehli nella coalizione di unità progressista (Upa), che finora ha goduto dell’appoggio (astensione) del partito socialista di Yadav, continuamente ricontrattata in condizioni di forte instabilità (c’è chi parla di elezioni anticipate già a novembre). In tutto questo, c’è da scommettere che la polemica contro gli Stati Uniti, ingombrante, amato-odiato alleato, sarà parte del mix pre-elettorale indiano nella corsa alle elezioni del 2014.

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