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“Appuntato lei mi vede a baciare Andreotti?” E’ quanto avrebbe confessato il boss dei boss, Totò Riina ad un agente di polizia giudiziaria. Deludendo milioni di cinefili che avevano creduto in quell’atto d’amore e fedeltà, immortalato dal film “Il Divo” di Paolo Sorrentino. Una scena cult, in cui i due apparivano come un Marcello Mastroianni e una Sofia Loren in formissima.
Pare, però, che Totò Riina abbia dichiarato – sempre off the records – di ritenere Andreotti un galantuomo e di aver appartenuto sempre alla sua area politica.
Pochi giorni fa, invece, Vitantonio Raso, giovane antisabotatore che per primo arrivò in via Caetani il giorno del ritrovamento del corpo di Aldo Moro, dopo 35 anni ha avuto un’illuminazione. Ha dichiarato che il corpo di Moro e’ stato trovato ben prima di quanto emerso dalle versioni ufficiali. E che l’allora ministro dell’Interno Francesco Cossiga fosse già stato in via Caetani prima della difusione della notizia. Versione tra l’altro sbugiardata in un articolo su Il Tempo di Maurizio Piccirilli, all’epoca tra i primi fotografi arrivati davanti alla famosa Renault 4.
Ora, non sta noi assumere le difese di ufficio di Giulio Andreotti e Francesco Cossiga. Che, tra l’altro, hanno goduto dell’assistenza di principi del foro nel primo caso e della propria loquacità nel secondo.
Il fatto però che vengano fuori rivelazioni infamanti sul loro conto a qualche mese o anno dal loro funerale e per giunta da fonti non accreditate ha dell’incredibile. Un costume strano in uso in un Paese in cui queste parole – mai pronunciate dinanzi a un giudice – assumono più credito delle versioni ufficiali. In un Paese in cui autori di efferati crimini e stragi sono ritenuti più credibili di uomini di stato.
Abbiamo bisogno di verità. Per capire il passato, il futuro e anche il nostro posto nel mondo, come il caso Datagate insegna. Ma la ricerca della verità non può essere praticata attraverso il venticello della calunnia. Se ci sono nuovi elementi, che vengano indagati. Se ci sono solo illazioni e frasi ad effetto, che cadano nel vuoto. Nel biennio 92 -94 sull’altare della demagogia abbiamo sacrificato un’intera classe dirigente. Gli uomini e le donne della ricostruzione e della rinascita italiana. Non solo, dunque, autori di nefandezze. Francesco Cossiga si dimise subito dopo il ritrovamento di Moro e sette anni dopo fu eletto da una larghissima maggioranza presidente della Repubblica. Dovremmo pensare che quel giorno tutti i parlamentari – compresi quelli di opposizione – fossero collusi, corrotti o ubriachi.
Il sacrificio di Aldo Moro, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino merita verità. Verità appunto, non mezze fandonie.

Andreotti, e dagli al caro estinto

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