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La proposta proveniente da alcuni ambienti socialdemocratici di escludere già prima del voto ogni ipotesi di grande coalizione con il partito della signora Merkel parrebbe essere una mossa intelligente per ricompattare le fila progressiste a tre mesi dalle elezioni. L’SPD è indietro di circa quindici punti rispetto agli avversari cristianodemocratici e cristianosociali. Non passa giorno senza che si rincorrano voci sulle dimissioni del candidato alla Cancelleria, Peer Steinbrück.

L’idea che la socialdemocrazia possa tirare i remi in barca, accontentandosi di governare insieme con la Cancelliera non va giù a tanti esponenti del partito, in particolare quelli della corrente sinistra. Molti politici locali, in particolare quelli delle regioni rette da esecutivi rosso-verdi, chiedono allora ai vertici federali di escludere già in campagna elettorale qualsiasi forma di collaborazione con la CDU/CSU dopo il 22 settembre. L’esperienza della Große Koalition dovrebbe aver insegnato, sostengono, che l’SPD avrebbe tutto da perdere in gabinetto guidato ancora una volta da Angela Merkel.

Nel 2009, alla fine della passata legislatura, il risultato dei socialdemocratici nelle urne toccò infatti il minimo storico (23%). Mentre quattro anni fa l’exploit dei liberali consentì alla signora Merkel di cambiare partner, questa volta, complice il crollo dell’FDP, che potrebbe non rientrare al Bundestag, la CDU/CSU può vantare un forte consenso, ma senza alcun prevedibile alleato.

Anziché rappresentare un handicap, si tratta di un punto a favore della Cancelliera che, notoriamente, preferisce tenersi le mani libere sino al giorno dopo le elezioni in modo da poter poi contrattare il “patto di coalizione” in una posizione di forza. La mossa dell’SPD, anziché spiazzarla, rischia anzi di portare nuova acqua al mulino cristianodemocratico. L’esclusione delle larghe intese può infatti essere interpretata come un’implicita apertura a Die Linke, il partito di estrema sinistra nato nel 2005 dall’unione dei ribelli socialdemocratici ed ex comunisti della DDR. Con il suo 7%, il partito (che è stato) di Lafontaine, sarebbe infatti determinante nell’assicurare la maggioranza all’alleanza rosso-verde tra socialdemocratici ed ecologisti. Una coalizione di questo tipo, accettabile per il nocciolo duro degli elettori progressisti, rimane tuttavia ancora tabù a livello federale.

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