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Era circa l’una di notte in Pakistan quando il cuore di Sarabijt Singh ha smesso di battere. Cittadino indiano di 49 anni. Singh era in coma dalla scorso 26 aprile, quando nel braccio della morte del carcere Kot Lakhpat di Lahore fu assalito da alcuni detenuti a colpi di mattoni.

Singh ha passato in carcere 22 anni, condannato a morte con l’accusa di spionaggio e di essere dietro a una serie di attacchi dinamitardi che nel 1990 fecero 14 morti nella provincia del Punjab. Accuse che la famiglia ha sempre respinto, parlando di scambio di persona con Singh che avrebbe varcato il confine da ubriaco.

La richiesta di grazia era stata respinta in passato dal presidente e dittatore Pervez Musharraf, oggi a sua volta nei guai con la giustizia pakistana che lo accusa di aver violato la costituzione quando al potere, con l’imposizione dello Stato di emergenza e di essere coinvolto nell’assassinio nel 2007 dell’allora leader dell’opposizione Benazir Bhutto, cui non avrebbe garantito adeguata protezione.

L’esecuzione della sentenza di condanna a morte per Singh fu poi sospesa a tempo indeterminato dal passato esecutivo guidato dal Partito del popolo pachistano, primo governo nella storia del Paese ad arrivare alla scadenza naturale del proprio mandato. La morte di Sarabijt Singh si inserisce nelle già difficili relazioni tra Delhi e Islamabad.

Appena ieri il governo pachistano aveva detto di stare considerando positivamente la richiesta indiana di trasferire l’uomo in India o in un Paese terzo per garantirgli adeguate cure. E sempre ieri la famiglia aveva fatto ritorno a casa dopo giorni passati a Lahore.

Secondo l’avvocato di Singh, Owais Sheikh, citato dall’agenzia France Presse, l’uomo aveva ricevuto minacce in passato in seguito all’esecuzione di Mohammed Afzal Guru, kashmiro impiccato a Delhi lo scorso febbraio perché accusato di aver fornito sostegno al gruppo armato che a dicembre del 2001 assalì il Parlamento indiano. Un attacco che fece 9 morti, ma sul cui coinvolgimento di Guru sono stati sollevati molti dubbi.

Si cerca intanto di capire come l’attacco contro Singh sia potuto accadere. Il sovraintendente del carcere e quattro guardie sono già stati sospesi per negligenza. “Se l’attacco è stato pianificato con il benestare del governo allora non serve un’inchiesta, se invece i vertici erano all’oscuro allora serve indagare”, ha detto la moglie citata dal quotidiano Dawn. Più esplicita la sorella di Singh, Dalbir Kche sentita dall’Express Tribune dice di ritenere che ad armare i detenuti siano state proprio le autorità carcerarie.

Diplomatici indiani intanto lamentano la carenza di informazioni e di non aver potuto visitare l’uomo in ospedale, mentre dal ministero degli Esteri di Islamabad replicano che in almeno due occasioni i funzionati di Delhi hanno visitato Singh. Chiarezza chiede anche la Commissione pachistana per i Diritti Umani che accusa il governo di aver fallito nei suoi compiti basilari, come garantire la sicurezza del detenuto.

Una morte scuote le difficili relazioni tra India e Pakistan

Era circa l'una di notte in Pakistan quando il cuore di Sarabijt Singh ha smesso di battere. Cittadino indiano di 49 anni. Singh era in coma dalla scorso 26 aprile, quando nel braccio della morte del carcere Kot Lakhpat di Lahore fu assalito da alcuni detenuti a colpi di mattoni. Singh ha passato in carcere 22 anni, condannato a morte…

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