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Viviamo tempi eccezionali, dicono e scrivono i massimi esperti di politica monetaria. Mai come in questi anni le banche centrali hanno innovato e creato strumenti per sostenere i mercati finanziari. La Banca dei regolamenti internazionali (BIS) lo ripete a ogni pie’ sospinto, e anche il Fondo monetario internazionale ormai, tanto che pochi giorni fa ha rilasciato un paper intitolato “Unconventional monetary policies, recent experience and prospects” che è utile leggere, visto che questi tempi straordinari prima o poi finiranno, e nessuno sa come.

Non lo sappiamo. Però conosciamo i rischi, se no altro perché ci siamo già passati. Ed è proprio quello che ribadisce il Fmi, chiudendo la sua lunga dissertazione con l’estenuante invito a fare le solite riforme: strutturali, fiscali e chi più ne ha…

Quello che si dovrebbe evitare, spiegano, è che la fine delle politiche monetarie ultraespansive si traduca, come peraltro è sempre successo, con l’innesco di un’altra crisi che finirebbe con l’essere peggiore di quella che l’ha precedeuta. Anche questo ormai è un fatto storico acclarato: crisi straordinarie richiedono operazioni sempre più straordinarie, dalle quali però bisogna prima o poi retrocedere.

Per farla semplice: aumenta il rischio che l’exit strategy, insomma, generi ogni volta un’exit tragedy.

Il punto saliente è che l’eccezionalità della crisi che stiamo vivendo ha dato un ruolo vieppiù eccezionale ad entità che abbiamo già visto essere eccezionali per natura, ossia le banche centrali. Il loro ruolo di prestatrici di ultima istanza (con l’eccezione formale ma non sostanziale della Bce), ossia di garanti di debiti che praticamente non saranno mai pagati, le ha esposte a rischi inusitati e senza precedenti della nostra storia monetaria, tanto è vero che proprio al costo potenziale dell’exit strategy sui bilanci delle banche centrali (che non possono fallire) è dedicato un approfondimento nello studio del Fmi.

La questione si pone in quanto le banche centrali considerate, Fed, BoE e BoJ, si sono gonfiate come non mai di bond a lungo termine per tenere bassi i tassi. Nell’ipotesi in cui partisse l’exit strategy, e quindi iniziasse un percorso di risalita dei tassi, il primo a soffrirne sarebbe il valore capitale di questi titoli, visto che al salire dei tassi scende il corso dei titoli, e, di conseguenza ne patirebbero le conseguenze i bilanci delle banche centrali.

Tale effetto si aggraverebbe se le banche centrali vendessero i bond che appesantiscono le proprie riserve per riportarle a un livello fisiologico. Tutte conseguenze, sottolinea il Fondo, che “non si sarebbero verificate in tempi normali”.

Ma noi viviamo tempi eccezionali.

Ecco perciò che diventa interessante leggere una simulazione costruita su tre scenari e una doppia ipotesi, ossia il mantenimento dell’attuali livello di asset in pancia alle banca centrale, o il varo di ulteriore manovra espansive (già annunciate nel caso del Giappone).

Il primo scenario scenario prevede che i tassi, lungo tutta la curva, aumentino solo di 100 punti base. In questo caso la simulazione prevede perdite nell’ordine dell’1% del Pil per la Fed, per un po’ meno del 2% del Pil per la BoE, e di un po’ meno dell’1% del Pil per la BoJ. Se invece le banche continuano a fare politiche espansive, le perdite sono destinate a salire esponenzialmente, addirittura fino al 3% del Pil per la BoJ.

Il secondo scenario parte dall’ipotesi che la curva dei tassi si differenzi con un  aumento di 400 punti a breve e di 225 a lungo. Uno scenario simile, ricorda il Fondo, a quello vissuto fra il 1993 e il 1995 quando la Fed orientò la sua politica monetaria proprio su una curva siffatta. In questo caso le perdite per la Fed oscillerebbero fra il 2 e il 3% del Pil, per la BoE fra il 3,5 e il 4,2% del Pil, per la BoJ fra l’1,5 e quasi il 4,5% del Pil.

L’ultimo scenario, il più rischioso, prevede che i tassi aumentino di 600 punti sul breve e di 375 sul lungo, perché magari c’è da far fronte a uno shock inflazionistico da commodity o altro. In tale caso la Fed rischia di perdere fino ad oltre il 4% del Pil Usa, la BoE il 6% di quello inglese, la BoJ quasi l’8% di quello giapponese.

Quale sarebbe la conseguenza di tale perdita?

Le banche centrali, l’abbiamo detto e ripetuto, formalmente non possono fallire. Il rischio è sistemico, più che commerciale. Ossia si rischia una crisi di fiducia che di fatto minerebbe la credibilità di queste entità, nate dal rapporto incestuoso fra stato e capitale, che quindi non sarebbero più in grado di fare alcuna politica credibile in futuro. Sarebbe l’inizio della loro fine.

Cadrebbe l’ultima finzione che finora ha retto tutto il meccanismo. Ossia che i debiti delle banche centrali, che sostengono tutto il mercato finanziario, siano restituibili.

E allora sarebbe davvero un’exit tragedy per la finanza. Almeno per come la conosciamo.

Viene quasi da augurarselo.

L’exit strategy delle banche centrali è l’exit tragedy della finanza

Viviamo tempi eccezionali, dicono e scrivono i massimi esperti di politica monetaria. Mai come in questi anni le banche centrali hanno innovato e creato strumenti per sostenere i mercati finanziari. La Banca dei regolamenti internazionali (BIS) lo ripete a ogni pie’ sospinto, e anche il Fondo monetario internazionale ormai, tanto che pochi giorni fa ha rilasciato un paper intitolato “Unconventional…

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