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La mancanza del leader cinese Xi Jinping al G20 di Nuova Delhi è una situazione inedita: Xi guida Partito e Paese da oltre dieci anni, e ha sempre considerato l’assise delle venti più importanti economie del mondo un territorio ottimale in cui diffondere la sua narrazione. Ora considera l’atto d’assenza un passaggio valido per chiudere questo primo anno del suo terzo, storico mandato alla leadership di Pechino. Frammentare l’ordine internazionale serve all’interesse di spingere un modello di governance internazionali con caratteristiche cinesi.

Ma mentre Xi sta affrontando considerevoli problemi economici interni che potrebbero ragionevolmente richiamare la sua attenzione (con tanto di voci di notabili del Partito che si oppongono al suo operato), e mentre le tensioni con gli Stati Uniti e l’India possono essere altre aliquote sulla ragione dell’assenza, i funzionari indiani stanno dipingendo la non presenza del cinese come un segno della loro ascesa. “Per quanto riguarda la Cina, mostrano spesso un grado di petulanza”, ha detto il vicepresidente del Bharatiya Janata Party, partito di maggioranza a Delhi: “Potrebbe essere difficile per loro accettare che per quattro decenni sono stati l’economia a crescita più rapida e ora è l’India”.

Narrazioni e interessi 

Gli indiani raccontano il G20 come passaggio esplicito dell’arrivo del Paese sul tetto del mondo, ma l’assenza di Xi e del presidente russo, Vladimir Putin, hanno di fatto oscurato i riflettori geopolitici sull’evento. Di più: tali assenze non aiutano ad appianare le differenze politiche all’interno di questo blocco diversificato su questioni che vanno dal cambiamento climatico alla guerra in Ucraina. E il rischio è che in un tale contesto finisca per mancare coesione nel communiqué con cui i leader verbalizzeranno l’incontro. D’altronde è già successo nelle varie ministeriali, e il rischio era stato sfiorato già lo scorso anno in Indonesia.

Gli incontri del G20 arrivano sulla scia del recente vertice Brics in Sudafrica, dove Xi era invece presente e fulcro dell’incontro e dell’allargamento. Che Pechino possa vedere quel blocco, che non include gli Stati Uniti e molti dei migliori alleati occidentali, come una piattaforma più utile per la sua agenda internazionale è possibile. Almeno sul piano narrativo – poi Usa e Ue restano ancora centri economici attrattivi e vitali. I Brics sono pronti ad espandere i ranghi l’anno prossimo, sollevando nuove domande sulla rilevanza di un’istituzione come il G20, che potrebbe non essere più il principale forum per le principali potenze del mondo in via di sviluppo.

Secondo Philippe Le Corre, senior fellow dell’Institute for Research and Education on Negotiation (Irene) della Essec Business School — una delle business school più famose del mondo con sedi a Parigi, Rabat e Singapore – anche se la Cina sarà rappresentata da altri alti funzionari statali (a quanto pare dal primo ministro Li Qiang), “il danno al G20 è già stato fatto, soprattutto per l’India, che lo ospita”. Il tema dell’assenza – con tutto il messaggio che crea anche agli occhi di tutti gli altri Paesi del mondo che non sono parte del gruppo – diventa quasi prioritario rispetto alle attività dei presenti.

Sia l’atto che il tempismo sottolineano la dura realtà che la Cina è inflessibile, come per esempio lo è nelle sue rivendicazioni revisioniste che riguardano il controllo territoriale – le stesse che nei giorni scorsi hanno riacceso le tensioni quando il ministero delle Risorse naturali di Pechino ha pubblicato una mappa che sembrava rivendicare aree del nord-est dell’India come parte della Cina. Poi c’è la rivalità tra Stati Uniti e Cina. Il presidente americano, Joe Biden, ha descritto la mancata presentazione di Xi a Nuova Delhi come “deludente”, ma ci si aspetta che i funzionari statunitensi usino il forum come un modo per pubblicizzare come Washington, piuttosto che la Cina, possa aiutare al meglio lo sviluppo delle nazioni a basso e medio reddito — ossia quello che viene ampiamente definito il Global South.

Quindi una distensione tra Washington e Pechino è impossibile?

“Sono molto scettico a causa dell’imminente campagna presidenziale statunitense, dove la Cina tornerà a essere un capro espiatorio”, risponde Le Corre. “Nel frattempo, i cinesi hanno avuto la tendenza a stigmatizzare gli Stati Uniti praticamente su ogni questione, anche di fronte ai Paesi del Sud-Est asiatico, quando il premier Li Qiang ha criticato lo ‘spirito da guerra fredda’. Questo termine è usato principalmente dalla Cina in questi giorni”.

L’esperto si riferisce all’intervento di Li durante l’Asean Summit di Giacarta, concluso giovedì 7 settembre. “Al momento, è molto importante opporsi alla presa di parte, al confronto tra blocchi e a una nuova guerra fredda”, ha detto il premier cinese parlando alla platea, tra cui c’era la vicepresidente statunitense Kamala Harris. Li ha avvertito del pericolo per l’Asia di essere trascinata nelle controversie delle grandi potenze, e ricordando che per questa ragione la Cina sta (sottinteso: “responsabilmente”) anche tenendo colloqui più ampi con gli Stati Uniti. Il pubblico dell’Asean, che vuole evitare allineamenti e situazioni di dualismo ma preferisce la via del multi-allineamento, è ricettivo davanti a certe narrazioni.

Ma gli effetti di questi contatti sono relativi, e anche realtà come il G20 ne risentono. Le Corre ricorda anche che per quanto riguarda un potenziale incontro faccia a faccia tra Biden e Xi, era quasi scontato prevedere che l’ambiente più consono sarebbe stato l’Apec, ossia la riunione dell’Asia Pacific Economic Cooperation che si terrà il 14 e 15 novembre a San Francisco: “Non il G20, perché non è una sede appropriata agli occhi dei cinesi”.

La logica della frammentazione

Per la Casa Bianca, il G20 diventa uno sfondo per un’agenda geopolitica più chiara: dopo Nuova Delhi, Biden andrà in Vietnam per una visita di stato, durante la quale dovrebbe essere annunciata una lista di importanti accordi di cooperazione anche pensati in ottica reshoring (o friend-shoring). Il viaggio, insieme agli sforzi degli Stati Uniti per approfondire i legami con l’India, mostra come l’amministrazione Biden stia cercando di assicurarsi potenziali baluardi asiatici contro la Cina attraverso attività bilaterali o al più mini-laterali (come Quad, Aukus, Camp David Principles).

“Gli Stati Uniti stanno corteggiando ferocemente l’India. Paradossalmente, il miglior paragone da fare di questo corteggiamento è con il feroce corteggiamento della Cina da parte degli Stati Uniti per controbilanciare l’Unione Sovietica negli anni ’70”, ha detto l’ex diplomatico di Singapore Kishore Mahbubani in una recente intervista, in cui ha spiegato che le dispute geopolitiche rischiano di trasformare l’incontro indiano in una semplice “photo-opportunity”: “Poca sostanza emergerà dal vertice”.

“Mentre la Cina non può vincere una battaglia contro un blocco guidato dagli Stati Uniti, il presidente Xi Jinping sembra convinto di poter prendere il suo posto come grande potenza in un ordine globale frammentato”, ha scritto Mark Leonard, direttore dell’Ecfr, in un’analisi dal titolo “This cold war is different”, pubblicata in collaborazione dal think tank australiano Aspi e da Project Syndicate. Per Leonard, l’arena su cui Pechino e Washington stanno esercitando la loro rivalità è completamente diversa dal contesto che ha circondato lo scontro binario della Guerra Fredda nel secolo precedente. “Contrariamente a come può sembrare a molti, non da ultimo negli Stati Uniti, la nuova guerra fredda sembra essere basata non sulla vecchia logica della polarizzazione, ma su una nuova logica di frammentazione. A giudicare dalla crescita dei Brics, non mancano i paesi che trovano questa nuova logica allettante”. E l’assenza di Xi al G20 è un chiaro messaggio in questo senso.

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