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Più le periferie di prati spelacchiati e palazzine Ina case venivano circondate dai palazzoni anni Ottanta e Novanta via via sino ai super-condomini con alla base catene di negozi e poi gli spaventosi luccicanti centri commerciali del terzo millennio, più i bordi della città raccontata da Pier Paolo Pasolini in Mamma Roma (1962) la trasformavano in un agglomerato di cemento, pizzette piastrellate, negozi iperforniti dove tutti sembrano chiamati alla felicità con il cellulare in mano h24.

La scuola di periferia dell’epico sceneggiato Rai Diario di un maestro (1973) di Vittorio De Seta (dal bel romanzo Un anno a Pietralata di Albino Bernardini), con pochi atti delinquenziali (furtarello, prostituzione, riciclaggio di piccoli pezzi di auto: un paraurti, un faro, l’antenna dell’autoradio della Cinquecento) non esiste più.

Quei ragazzi di borgata, che non accedevano alle piscine, alle palestre di scherma, alle scuole di danza, cui i figli dei borghesi, residenti nei palazzoni di marmo o nelle villette dei “quartieri alti” (per dirla con Ercole Patti) venivano condotti in Mercedes o in Alfa Romeo, quei ragazzi di periferia sono sempre là. Hanno (è tornato di moda) il ciuffo ribelle come gli amici di Ettore di Mamma Roma, si vestono come i figli dei ricchi di oggi, perché la moda, dagli anni Settanta in poi, ha “unificato i ceti” (Edgar Morin). I nuovi “periferici” under 18 hanno lo scooter o la macchinina, e l’immancabile iPhone. Ma sono rosi dalla rabbia sociale.

Arrabbiati perché hanno lasciato gli studi in secondo media, o prima, hanno voluto vivere come “i ricchi” trovando il denaro facile. Perché tutti i luccicanti beni che vedono in rete sono da possedere. Ecco allora che si impiegano come “postini della droga”, o “vedette dello spaccio”; vendita illegale di armi; prostituzione industriale.

La maggior parte di loro ha tra i dodici e i diciassette anni. È il periodo in cui i ragazzi scompaiono dall’appello del docente della prima ora. Sono diventati “ricchi”, ma rimangono rabbiosi, perché sentono che non parlano come i figli di papà. Infatti se casualmente soggiornano, con i loro genitori, in un Hotel a 4 stelle, con Spa, di fronte ad altri adolescenti notano che questi ultimi hanno uno stile, che definiscono da “femminelle”. Usano, i figli dei borghesi, l’italiano standard oltre al dialetto, citano in latino. Sono adolescenti “superiori”. I neo-periferici arricchiti, invece, sono contro il “mondo per bene” perché ne sono esclusi. I loro miti sono i personaggi forti e negativi, dei videogiochi e delle serie Tv.

Forse questa è la ragione che ha spinto un sedicenne armato, poco interessato alla scuola, a sparare a un musicista, di otto anni più grande, intento a studiare e a praticare uno strumento musicale. “Arrabbiatosi” per una questione di parcheggio.

Ora, lo Stato, gli esperti, i politici, si accorgono che quando i ragazzi non vanno a scuola hanno le mazzette di cash in una tasca e il “ferro” nell’altra. La colpa? Dei genitori che non hanno sorvegliato la dovuta frequenza scolastica, ma anche il mancato raggiungimento del profitto nella educazione dell’adolescente. Verrà punito sino a due anni di carcere colui che “rivestito di autorità o incaricato della vigilanza sopra un minore, ometta, senza un giusto motivo, di impartirgli o fargli impartire l’istruzione obbligatoria”. Così il nuovo decreto governativo ribattezzato “decreto Caivano” dopo l’uccisione del giovane musicista.

Credo che la “punizione” nei confronti dei genitori sia condivisibile, anche se poi nei casi delicati quel padre sarà già in carcere per altri motivi, la madre forse è esaurita e senza lavoro. Le procure si intaseranno. Andrebbero costruiti altri “carceri rieducativi”. Ci vorrà un certo impegno di personale e risorse, e del tempo.

Diversi analisti, intellettuali, artisti, risolvono il problema con: “più educazione a scuola”, “più formazione per gli adulti”, “spazio alle reti sociali e alle reti di volontariato”.

Sono interventi utili ma non risolutivi. La educazione/formazione dei pre-adolescenti e degli adolescenti da anni non passa più per la scuola. Passa attraverso il cellulare e la rete. La scuola è sconfitta. Il consumismo, le mode, corrono sul Wi-Fi.

Da anni dico che andrebbe portata avanti una totale riforma della scuola (da parte di tutte le forze politiche). Se la scuola fosse a tempo pieno, anche di pomeriggio, gli adolescenti passerebbero meno tempo sui muretti o a lucidare i pavimenti dei centri commerciali con le scarpe da 700 euro e l’iPhone da 1000 euro in mano. Avremmo fatto un piccolo passo in avanti.

Poi: continuare a dotare le scuole di strumentazioni e mezzi (come ha iniziato Patrizio Bianchi e sta continuando saggiamente Giuseppe Valditara). Soprattutto: mense, palestre e campi per lo sport, cori e orchestre scolastiche, nella scuola secondaria di primo e secondo grado. Frequenza obbligatoria. Diciamo, entro il 2040? Iniziamo. Ma chi ha il coraggio di andare contro gli interessi di chi fa business avendo come clienti i nostri figli a disposizione dalle 14 alle 22?

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