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Ha ragione Mario Draghi quando, rompendo un lungo silenzio e con un meditato discorso, ha deciso di sposare la linea dell’euro-cambiamento. Come a dire, più sovranità condivisa e nuove regole per un nuovo Patto di stabilità. L’Italia, d’altronde, di quella flessibilità ha un disperato bisogno. I tassi mordono, la recessione fa capolino e la manovra d’autunno, la seconda del governo di Giorgia Meloni dopo quella scritta a quattro mani lo scorso anno proprio con Draghi, rischia di finire imbrigliata in vincoli di bilancio troppo vintage per i tempi che corrono.

Paradossalmente, chi continua a predicare rigore e fermezza sui conti, è quello più inguaiato, stretto come è tra una recessione conclamata e alcune accuse piuttosto pesanti, circa una gestione allegra del bilancio: la Germania (la Corte dei conti tedesca ha accusato il ministro delle Finanze Christian Lindner, profeta dell’austerity, pronto a mettersi di traverso davanti a ogni spesa in deficit e nemico giurato della linea del debito comune europeo, di aver nascosto alcune spese fuori bilancio da spalmare su più annualità. Insomma, a tre mesi dalla scadenza del periodo per riformare il Patto di stabilità, qualche domanda è lecito farsela. Formiche.net lo ha fatto con Marco Fortis, economista e direttore della Fondazione Edison.

“La riflessione di Mario Draghi mi pare giusta e sensata, ma mi permetta, ne parla da almeno dieci anni, fin dai tempi in cui la crisi del debito in Grecia stava per affondare l’Europa. Sono insomma anni che Draghi auspica un’Europa capace di reagire e cambiare dinnanzi alle crisi. Se la memoria non mi inganna, anche all’indomani della crisi dei mutui subprime, nel 2008, Draghi teorizzava qualcosa che non andava troppo lontano dal Next Generation Eu”, spiega Fortis. “Oggi siamo in una situazione complessa, la guerra, la pandemia, sono cambiamenti epocali, pensare di tornare alle vecchie regole mi pare un po’ assurdo, solo a pensarci. Serve una politica di investimenti, non possono spendere solo pochi Stati che hanno i denari, devono investire tutti”.

Bisognerebbe spiegarlo alla Germania, però, che non vorrebbe, almeno a parole, che Paesi indebitati possano spendere al pari di chi ha i conti in ordine. “Tutto il Nord Europa è in crisi, non ce lo nascondiamo, i tedeschi non possono mica alzare più di tanto la voce. E poi vorrei ricordare che nessuna politica di austerity ha mai portato crescita. Una volta che si prendono dieci punti di Pil di debito perché la crescita non parte, bisogna fare l’austerity sull’austerity. Oggi l’Europa è un magma, non servono vincoli troppo stringenti, ma un intelligente controllo dei conti, quello si. Ma non si possono sacrificare investimenti e competitività sull’altare dei conti. Berlino, dopo quello che emerso in questi giorni su certe partite contabili che imbarazzano il ministro delle Finanze, ha tanti punti oscuri, a cominciare dalle banche locali, su cui manca una vera vigilanza. Non dimentichiamoci che certi salvataggi bancari in Germania sono costati miliardi”, prosegue Fortis.

“La verità è che Berlino è in piena crisi strutturale, se c’è qualcuno che dovrebbe tifare per regole più morbide e flessibili è proprio la Germania, che non ha nemmeno più il gas della Russia. Altro che Spagna e Italia”. E i tassi? Se davvero bisogna investire e schivare la recessione, la Banca centrale europea dovrebbe contenersi. O no? Fortis non si scompone. “Le banche centrali hanno le loro traiettorie, ma se ci vengono a raccontare che l’inflazione è scesa perché i tassi sono aumentati viene da ridere. Lo sa quando l’inflazione scenderà per davvero? Quando finirà la crisi energetica, quando non ci saranno più strozzature nell’offerta. Ecco quando”.

 

Le ragioni di Draghi e le amnesie della Germania. La versione di Fortis

L’economista e direttore della Fondazione Edison spiega perché Berlino non può più permettersi di fare la maestrina in Europa. Sarebbe meglio, semmai, approdare a un nuovo concetto di gestione dei conti pubblici. La Bce? Fa il suo mestiere ma non racconti che l’inflazione scende per merito suo

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