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Ho provato in molti modi in questi giorni, sui social ed in conversazioni con diversi colleghi e conoscenti, che mi chiedevano il mio pensiero a proposito del clamore agostano suscitato della pubblicazione del libro “Il mondo al contrario” dell’ex comandante della Folgore e del Col Moschin, ancora in servizio, generale Roberto Vannacci.

Ho sostenuto da subito quanto meno l’inopportunità, per un generale ancora in servizio, di questa pubblicazione. Inopportunità provata, se non bastassero argomenti di carattere costituzionale, che non tutti comprendono, dal clamore mediatico e dall’indubbio danno di immagine per le Forze Armate che ne è derivato. Clamore e danno dai quali il collega non può dirsi sorpreso, senza autoaccusarsi di grave carenza di capacità di discernimento. Qualità strategica essenziale, e parte dell’Arte Militare, che ogni generale deve avere. Che discenda da Giulio Cesare, Alessandro Magno, Sun Tzu o Annibale.

Sulla valutazione del grado di questa palese inopportunità, e dell’eventuale rilevanza penale militare o disciplinare, si è già espresso in una chiarissima intervista al Corriere della Sera il procuratore generale Militare Marco De Paolis.

Vannacci non merita la fucilazione, ma nemmeno una medaglia

Dal contenuto dell’intervista del procuratore generale, che non ha tuttavia competenza all’apertura di un eventuale procedimento, che è invece della Procura, appare dubbia, anche se non esclusa a priori, una contestazione penale. Risulta tuttavia molto probabile, almeno, la contestazione di una violazione disciplinare, passibile quindi di sanzione disciplinare. Che, a mio avviso, dovrebbe essere una sanzione di corpo (richiamo, rimprovero, consegna o consegna di rigore). Riterrei infatti sproporzionata al caso una sanzione di stato (che vanno sino alla perdita del grado per rimozione), come richiesto al ministro della Difesa, con toni anche fuori dalle righe, e in tempi incompatibili con i procedimenti disciplinari dello stato di diritto, da chi dimostra poca dimestichezza con la materia.

Ho provato a spiegare in vari modi a chi continua a sostenere che al generale Vannacci non ci sia davvero nulla da rimproverare, e che meriterebbe persino una medaglia per quello che ha scritto, le ragioni per le quali, finché in servizio, non avrebbe dovuto pubblicare il suo libro.

L’ho fatto da giurista, da giornalista, da patriota italiano-europeo e, soprattutto, da generale in congedo assoluto del ruolo d’onore della Guardia di Finanza, e figlio di ufficiale dell’Esercito Italiano.

Perché il generale Vannacci ha sbagliato, a prescindere dai contenuti del suo libro

Perché il generale Vannacci ha sbagliato, e bene ha fatto il ministro Crosetto a non difenderlo, come avrebbero voluto alcuni suoi compagni di partito ed elettori, provo a spiegarlo ai miei lettori, compresi alcuni militari, in servizio e in congedo, che, in sicura buona fede, so non condividere ancora le mie stesse preoccupazioni. E provo a farlo con un linguaggio che spero sia comprensibile anche da chi, soprattutto a centro destra, dovrebbe essere grato al ministro Crosetto per il modo impeccabile e rapido col quale il ministero della Difesa sta gestendo la questione, ed accettare che il generale Vannacci ha sicuramente sbagliato.

Non lo farò sul contenuto del libro, che ho ovviamente letto, perché non reputo necessario entrare nei dettagli e ripetere quanto detto da altri.

Mi limito a dire che è fatto in gran parte di ovvietà, descritte con una narrativa non inedita, solo in parte censurabile, ed in alcune parti – non tutte, ovviamente – persino condivisibili da chi scrive. Non solo da molti degli elettori della maggioranza di governo.

Che hanno suscitato questo clamore, solo perché sono state scritte da un generale dell’Esercito in servizio, ex comandante dei reparti speciali, non certo da Vannacci, che non lo conosceva nessuno. Come ha giustamente affermato il procuratore generale Militare De Paolis, precisando che “non può nascondersi dietro la libertà di espressione come un privato cittadino qualunque”. 

Due sono le ragioni principali, che anche il centro destra non può sottovalutare

Le ragioni principali per le quali, a mio avviso, il generale Vannacci non doveva pubblicare il suo libro, sinché in servizio, sono sostanzialmente due. Che sinora non mi sembrano essere state evocate con la necessaria fermezza.

Ha dato ragione postuma al timore di Michela Murgia

La prima, è che il fatto che un generale italiano – per la prima volta in questo secolo – possa ergersi a minaccia per l’Italia, o anche una parte, seppure non maggioritaria, dei suoi cittadini, crea disagio e squalifica la categoria degli Ufficiali di tutte le Forze Armate.

Michela Murgia, buonanima, si lamentò dell’uniforme del generale Francesco Paolo Figliuolo, perché diceva che non le ispirava fiducia.

Commento che, chi scrive, all’epoca considerò ingiustificato e strumentale, oltre che inutile.

Il generale Vannacci, invece di servire in silenzio e darle quindi torto nei fatti, con “un grammo di esempio che vale più di un quintale di parole”, come ricordava San Francesco di Sales, ha invece esternato pubblicamente, ancora in servizio e senza motivo, ovvietà che in molti già pensano e sostengono pubblicamente e, quindi, alla fine, le ha dato fondamentalmente ragione. Dimostrandosi indisciplinato,  inaffidabile e insidioso, in considerazione del suo alto grado, per la credibilità e l’affidabilità democratica di tutte le Forze Armate.

Non posso infine non segnalare l’assenza, nel suo “mondo al contrario”, di un  solo paragrafo sul “sistema giustizia” denunciato da Luca Palamara. Mi è impossibile credere che sia una dimenticanza, e  neppure che il collega non lo ritenga “al contrario” della giustizia giusta. Mi viene invece  naturale pensare che, furbescamente, lo abbia omesso solo per calcolo personale. Prevedendo di dover fare i conti con la giustizia, se non penale, almeno amministrativa, per difendersi dagli addebiti che – sarebbe ingenuo se non li avesse messi in conto – gli verranno contestati dal ministero della Difesa, al termine dell’inchiesta immediatamente richiesta dal ministro Guido Crosetto, che sta dimostrando  nei fatti di essere ministro di tutti i militari e di tutti gli italiani, e non solo di una parte.

Ha creato un pericoloso precedente per la democrazia

La seconda, e forse più importante ragione, è che non si può permettere che, emulando Vannacci (l’esempio del superiore è parte della disciplina militare, e l’emulazione è molto diffusa nelle Forze Armate), o approfittando della pretesa “normalità” della sua entrata a gamba tesa nel pubblico dibattito politico, pur indossando ancora l’uniforme, tra 10 o 30 anni, un generale musulmano ex comandante dei reparti speciali si possa arrogare il diritto di scrivere un libro dove auspichi pubblicamente l’introduzione della sharia in Italia. Con il prevedibile consenso di cori da stadio delle maggioranze o minoranze del momento.

Bisogna pure evitare, signori cultori della “normalità”, che un generale lgbtqia+ in servizio possa pubblicare un libro dove sostenga (sempre come esempio provocatorio, alla Vannacci) la supremazia intellettuale e culturale della comunità lgbtqia+ (tutti i miei amici gay hanno livelli intellettuali e culturali molto elevati) auspicandone titoli preferenziali per l’insegnamento nel sistema scolastico e universitario.

Io penso che il generale Vannacci, che, con grande probabilità, prevedo che l’anno prossimo sarà eletto al Parlamento europeo,  non abbia nulla da temere sul piano personale. Neppure se dovesse subire una giusta, prevedibile e verosimilmente lieve sanzione disciplinare. Se non l’onore militare nei confronti di chi l’onore militare ce l’ha, o sa cosa significhi.

Ma chi scrive, assieme a tanti colleghi tuttora in uniforme, o che l’hanno indossata, che ho sentito in questi giorni, non vuole che nel nostro Paese, che è la Repubblica Italiana, e non una repubblica delle banane, generali ancora in servizio possano entrare liberamente a gamba tesa nel dibattito politico nazionale su temi controversi e divisivi come quelli trattati nel “mondo al contrario”.

Sogno anche che tale divieto venga introdotto, e fatto rispettare,  anche ai magistrati in servizio. La pubblica incontinenza di alcuni dei quali, in nome di una malintesa libertà di manifestazione del pensiero, che non dovrebbe mai essere avulsa da altri dettami costituzionali, è stata pessimo esempio per tanti servitori dello Stato come il generale Vannacci.

Ma poiché so che, almeno sinché io vivrò, questo resterà solo un sogno, mi limito a sognare.

Ma vorrei si evitasse che diventi invece realtà l’incubo che chi condivide le mie preoccupazioni sta vivendo in questi giorni con Vannacci. E cioè che le Forze Armate, negli ultimi decenni esempio positivo anche di sobrietà e compostezza nel panorama istituzionale nazionale, che, a fatica, con grande merito, e pagando anche il prezzo di tanto sangue versato, hanno rappresentato valori condivisi nell’unità nazionale, rientrino nella “normalità” (termine caro a Vannacci), di quella che io definisco “Pulcinellopoli”.

Che non è l’Italia libera e democratica alla cui Repubblica tutti i generali (Vannacci ed io compresi) hanno solennemente giurato, almeno due volte (da allievo ufficiale e ufficiale), fedeltà.

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