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“Quando saremo ai confini amministrativi della Crimea, penso che sia possibile trovare una soluzione politica per forzare la smilitarizzazione della Russia sul territorio della penisola”. Con queste parole, pronunciate durante un’intervista andata in onda sull’emittente 1+1, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha evocato la possibilità di un negoziato concernente lo status della penisola annessa dalla Federazione Russa otto anni prima dell’escalation del 24 febbraio. La liberazione della Crimea, del cui valore strategico sono ben consapevoli gli esperti ucraini e non, è considerato uno degli obiettivi principali del conflitto. Tuttavia, la realizzazione di un simile obiettivo potrebbe essere piuttosto difficile da raggiungere.

Sin dall’indomani dell’occupazione della penisola, Mosca ha iniziato a rafforzare le difese della Crimea con l’obiettivo di trasformarla in un “bastione”, termine nato in epoca sovietica per indicare vere e proprie fortezze dove le flotte della marina militare (e specialmente i sottomarini armati con ordigni atomici, componente fondamentale della triade nucleare) potessero sostare in totale sicurezza, con innumerevoli linee di difesa a proteggerli da attacchi nemici. Nel 2016, due anni dopo l’occupazione, il Capo di Stato Maggiore delle forze armate russe Valery Gerasimov ha annunciato la creazione di una zona “Anti-Access/Area Denial”, che indica una concentrazione di capacità cinetiche e non cinetiche atte a limitare la libertà di movimento dell’avversario all’interno dell’area in questione, al fine di trarne il maggior vantaggio possibile. Queste pesanti fortificazioni, così come la particolare geografia che limita l’accesso alla terraferma, rendono la penisola virtualmente inespugnabile tramite un attacco “convenzionale”.

All’inizio del conflitto l’equipaggiamento in forza all’esercito ucraino, con un raggio di attacco massimale di 20 km circa, non aveva una portata sufficiente per poter colpire le postazioni russe situate nella penisola; la situazione è cambiata con il proseguire del conflitto, grazie all’arrivo di armamenti occidentali come gli Himars e dell’incrementato numero di droni a disposizione di Kyiv. Tuttavia, anche l’utilizzo di simili strumentazioni difficilmente sarebbe in grado di scalfire difese russe ad un punto tale da rendere realizzabile un’invasione terreste. E proprio questa cognizione ha spinto la leadership di Kyiv a preferire un approccio di logoramento.

Attaccando i centri logistici nevralgici e le infrastrutture di collegamento, l’obiettivo delle forze armate ucraine era quello di “mettere sotto assedio” la Crimea. In questo modo l’intera penisola, assieme alle unità lì stanziate, avrebbe potuto essere utilizzata come strumento di pressione nei confronti di Mosca in un contesto negoziale. Contesto negoziale che però avrebbe dovuto vedere Kyiv in una posizione di forza militare, mentre ad oggi le notizie dal campo di battaglia sembrano indicare una situazione diversa.

Lo sfondamento delle line russe appare sempre più difficile. I progressi ucraini nell’area di Robotyne sono concreti, ma in generale si è ancora ben distanti dall’obiettivo principale dello sforzo offensivo ucraino, ovvero la liberazione della città di Melitopol e il raggiungimento della costa del Mar Nero, che permetterebbe di tagliare quel corridoio di collegamento terrestre tra la Crimea e l’entroterra russo che rappresenta la principale arteria di rifornimento russa verso la penisola. Requisito necessario per poter condurre il desiderato assedio.

Zelensky sa che questa guerra non potrà essere portata avanti all’infinito. L’Ucraina, per quanto desiderosa di rivalsa verso l’invasore, sta lentamente esaurendo le sue risorse umane e non. E anche il sostegno internazionale potrebbe cambiare di intensità nei prossimi mesi. Soprattutto quello degli Stati Uniti, principale sponsor di Kyiv, dove le elezioni del 2024 si fanno sempre più vicine. Nella campagna elettorale che, secondo i dati del momento, vedrà il presidente uscente Joe Biden contrapporsi a Donal Trump, il tema del supporto all’Ucraina sarà sicuramente uno dei campi di battaglia più caldi. Nonostante Biden abbia fino ad oggi sostenuto fermamente il paese invaso, tanto con le parole che con i fatti, non è da escludere che la sua posizione al riguardo possa subire l’influenza delle dinamiche elettorali. E una vittoria di Trump alle elezioni del prossimo anno segnerebbe una decisa inversione da parte di Washington.

Proprio per questi motivi la leadership ucraina sta ventilando l’ipotesi di aprire un negoziato con Mosca. Non è ancora chiaro quali siano i punti fermi di Kyiv, e quali invece possano essere oggetto di discussione e compromesso.  Nel frattempo, però, i ramoscelli d’ulivo mostrati da Zelensky nelle ultime settimane fanno sempre più rumore. E ad essi è legato il destino della penisola di Crimea.

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