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Che cos’hanno in comune Predrag Matvejevic e Zygmunt Bauman? Una certa “percezione” futuristica dell’Europa, la sensazione (avuta prima di altri) che più di un passo sia stato messo clamorosamente in fallo. Ma la loro è una critica costruttiva e non fine a se stessa, a cui segue una proposta tangibile. Il primo osserva che il Mediterraneo, culla della civiltà e del passato, non riesce oggi a reinventare né quella cultura né un futuro credibile. Quindi indica il Mesogheios, come la strada geosociale da percorrere. Il secondo richiama spesso, ma forse tanto non quanto dovrebbe, alla comunione come via di uscita da un sistema che ci ha visti sopravvivere al di sopra sia delle nostre necessità che delle nostre possibilità. Una doppia contingenza di cui, oggi, paghiamo le (drammatiche) conseguenze. L’esclusione sociale è il vedo punto di assoluta krisis del continente, come rileva la relazione Cipro della Commissione europea, con il reddito disponibile lordo delle famiglie nel periodo 2009-2011 ridotto del 7% e con l’8% della popolazione in seria difficoltà con mutuo e canone di locazione. Senza scomodare i numeri italiani, altrettanto inquietanti o quelli assurdi della crisi greca, è utile immaginare soluzioni e prevedere scenari. Ma nella consapevolezza che occorrano visioni nuove, non ricette mordi e fuggi o slogan buoni, forse, per qualche comizio o ospitata televisiva.

Quando Bauman riflette sul fatto che la globalizzazione ha globalizzato il vero potere scavalcando la politica tocca il punto centrale di tutte le crisi, economiche ma prima sociali. Perché scopre l’effettiva nota dolens: il mancato buon senso, lo spreco materiale e ideale, la non comunione sovrastata da egoismi prismatici che hanno prodotto lo squilibrio attuale. E che sta sfociano in pericolose sacche di disagio sociale, in tensioni isteriche e deleterie per gli sviluppi democratici di paesi e popoli, in sofferenze autentiche e multilivello. Secondo Bauman il potere è la capacità di esercitare un comando e la politica di prendere decisioni. Ma se entrambi mancano obiettivi e strategie ecco che la foga di conquistare il bene materiale si ripercuote su menti e braccia che semplicemente non hanno saputo gestire ciò che è stato ottenuto. E oggi si scoprono più poveri, teletrasportandosi verso l’autodistruzione. Fisiologico che poi, da questo scenario, si inneschino reazioni a catena come un’Unione che appare economicamente e politicamente balcanizzata, senza una regia comune e che evita accuratamente di sedere in pianta stabile a un ipotetico G3 con Usa e Cina.

I giorni futuri, scriveva Kavafis, stanno avanti a noi come una fila di candele accese, dorate, calde e vivide. Tutto sta a vedere quanto ancora viva sarà quella fiammella già domani.

Twitter@FDepalo

Caro Juncker, bene i progetti ma servono visioni nuove (e sociali)

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