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Non solo Grecia e Cipro. C’è anche un altro Paese in Europa che sta assumendo un ruolo all’interno del dossier energetico collegato all’evoluzione del piano Witkoff per l’Ucraina. L’Ungheria di Viktor Orban rappresenta un mondo di mezzo, dove da un lato il premier vicino a Mosca prova a rassicurare la Serbia alle prese con disagi relativi all’approvvigionamento, dall’altro mantiene caldo il filo diretto con Mosca (così come altri, tra cui Erdogan) al fine di disegnare i nuovi confini energetici in primis del suo paese e, quindi, dei soggetti direttamente o indirettamente coinvolti.

L’ATTIVISMO DI ORBAN

Il tour di Orbán tra Serbia e Russia ha nel menu le forniture di petrolio greggio e gas all’Ungheria. La compagnia energetica statale ungherese MOL ha raddoppiato le sue spedizioni di petrolio in Serbia a novembre e prevede di aumentarle di 2,5 volte a dicembre. La Serbia si trova ad affrontare una potenziale carenza di carburante e gasolio dopo che la sua unica raffineria rischia la chiusura, per cui cerca strade alternative, anche se in conflitto con le indicazioni dell’Ue (ovvero stop alle forniture russe), quell’Ue a cui Aleksandar Vucic guarda per il futuro del proprio paese. Entrando nel merito della questione, stando a quanto annunciato dal Ministro degli Esteri Peter Szijjarto, MOL è pronta ad assistere la Serbia inviando petrolio, inoltre MOL è considerata un potenziale acquirente della compagnia energetica serba NIS, attualmente di proprietà di maggioranza delle russe Gazprom e Gazprom Neft. Ma il governo di Belgrado, in ossequio alle dinamiche continentali, ha concesso ai proprietari russi 50 giorni di tempo per vendere i loro asset prima che il governo ne prenda il controllo. In sostanza la Serbia non ha raggiunto un accordo triennale ma ottenendo solo una breve proroga dopo che le sanzioni statunitensi hanno preso di mira Naftna Industrija Srbije, l’unica raffineria di petrolio del paese. Un puzzle che necessita di un ulteriore pezzo per trovare completamento, senza che vi siano strappi.

IL RUOLO DELLA GRECIA E I CONFLITTI CON MOSCA

Se nel 2024 la Serbia ha importato circa 3 miliardi di metri cubi di gas russo, coprendo la maggior parte del suo consumo, il paese ha iniziato a guardarsi attorno al fine di diversificare le proprie forniture. Su tutti spicca il terminale gnl di Alexandroupolis che serve anche la Bulgaria su cui la Grecia (con il favore degli Usa) ha investito massicciamente da tempo anche per impedire che il gas russo resti centrale nel prossimo futuro, ma possa essere definitivamente sostituito da quello in arrivo via mare da Stati Uniti e Qatar e, in prospettiva, da quello presente in maniera massiccia nel Mediterraneo orientale.

Lo scorso 27 ottobre è partito dal porto ellenico il primo carico di gnl per la Bulgaria da quando i servizi di rigassificazione e scarico sono ripresi dopo che l’operatore del terminale Gastrade aveva sospeso le operazioni presso la FSRU nel gennaio scorso. Questo lasso di tempo ha permesso a Gastrade di ampliare la capacità presso l’unità galleggiante di stoccaggio e rigassificazione (FSRU). Infatti il terminale greco ha migliorato moltissimo la sua capacità operativa a settembre, passando da 45,4 GWh/giorno a 90,8 GWh/giorno, per poi aumentare la capacità della stessa percentuale il 21 ottobre 2025, portandola a 136,2 GWh/giorno. Numeri che spiegano l’ostilità russa nei confronti della Grecia, dal momento che il governo guidato da Kyriakos Mitsotakis ha spinto sull’acceleratore le esportazioni di gnl greche che nel 2025 hanno raggiunto un livello record, mentre nel 2024 la Russia si era classificata al secondo posto, dopo gli Stati Uniti, come fornitore chiave.

Non va a segno l'attacco di Orban sul gas. La chiave è il terminale di Alexandroupolis

Nel 2024 la Serbia ha importato circa 3 miliardi di metri cubi di gas russo, coprendo gran parte del fabbisogno, ma ora punta a diversificare. Centrale in questa strategia è il terminale Gnl di Alexandroupolis, che serve anche la Bulgaria e su cui la Grecia, con il sostegno degli Usa, ha investito per ridurre la dipendenza dal gas russo, sostituendolo con forniture via mare da Stati Uniti, Qatar e, in prospettiva, dal Mediterraneo orientale

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