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Un colpo di reni, un battito, forse frutto del più primordiale degli istinti, quello di sopravvivenza. L’Europa avviluppata nel torpore, reagisce dinnanzi all’improvvisa e, per certi versi, micidiale stretta cinese sulle terre rare. Come noto, nei giorni scorsi, in reazione all’innalzamento del livello di scontro commerciale con gli Stati Uniti, Pechino ha deciso nel giro di ventiquattro ore di imporre a chi compra minerali critici dalle miniere cinesi sparse per il mondo, di inoltrare richiesta formale allo stesso governo del Dragone. Il quale si riserva se accettare o meno. Il problema c’è. Perché se è vero che gli Stati Uniti hanno da tempo avviato lo sganciamento dalle forniture cinese, il resto del mondo è nei guai. E questo per un motivo molto semplice: Pechino ad oggi è proprietaria del 70% delle terre rare sparse per il globo.

Se comunque persino a Washington sono preoccupati dall’irrigidimento cinese in materia di minerali critici (senza i quali l’industria della difesa e la tecnologia a monte si essa non possono progredire e competere), figuriamoci in Europa. Le misure restrittive della Cina sulle terre rare hanno suscitato la reazione, per esempio, del segretario al Tesoro Scott Bessent. “Daremo una risposta coordinata ai burocrati di Pechino. Non ci sono dubbi: è la Cina contro il resto del mondo”. Insomma, Gli Stati Uniti non staranno a guardare e non lasceranno al loro destino gli alleati. Lo dimostra il fatto che lo stesso Bessent ha indicato che sul nodo terre rare avrà colloqui con gli “europei, l’Australia, il Canada, l’India e altre democrazie asiatiche” a margine dei lavori del Fondo monetario internazionale, questi giorni a Washington. “I burocrati in Cina non sono in grado di gestire la catena di fornitura o il processo di produzione per il resto del mondo”.

Va bene, l’America si è messa in moto. Ma ciascuno deve fare la sua parte. La prossima settimana il commissario europeo al Commercio, Maros Sefcovic incontrerà le sue controparti cinesi per discutere delle restrizioni alle esportazioni, in particolare di terre rare, annunciate da Pechino. Come trapela da Bruxelles, l’incontro con la delegazione cinese riguarderà anche le preoccupazioni sulle restrizioni alle terre rare che vuole operare Pechino. “Sarà una opportunità per discutere le questioni nei dettagli”, ha detto un portavoce della Commissione europea. “Sulle recenti misure prese dalla Cina siano in costante contatto con le nostre imprese e per mettere in rilievo le loro preoccupazioni e impegnarci con la Cina su questo versante”.

Bisogna però sempre avere un asso nella manica, specialmente quando si va in casa altrui a parlamentare. E quello dell’Europa si chiama America.  L’Unione europea, mentre prepara il terreno al confronto con Pechino, infatti, sta cercando di coordinarsi con gli Stati Uniti e altri partner del G7 per mettere a terra una risposta coordinata e complessiva alla Cina. Molto di più non si sa, ma comunque è un segnale: stavolta l’Europa non starà a guardare. D’altronde la posta in gioco è alta, altissima. Negli ultimi giorni aziende occidentali hanno lanciato l’allarme: la nuova escalation tra Stati Uniti e Cina sulle terre rare rischia di generare catene di approvvigionamento interrotte e rincari per chip, auto e armamenti. Le terre rare, insomma, sono essenziali per tecnologie militari come F-35, missili Tomahawk, radar, droni.

Terre rare, l'Europa batte un colpo contro la Cina. E gioca di sponda con gli Usa

La stretta cinese sulle esportazioni di minerali critici rischia di azzoppare l’industria della Difesa e la tecnologia che c’è a monte. Ma stavolta l’Ue ha deciso di combattere, aprendo un canale con il Dragone e lavorando al contempo a una tela con gli Stati Uniti

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