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“Le dichiarazioni degli Houthi non vanno mai prese letteralmente, perché nel loro discorso politico la componente strumentale e propagandistica è sempre molto forte. Quindi non possono essere considerate credibili per come intendiamo noi il termine”, spiega Eleonora Ardemagni, senior associate research fellow dell’Ispi e docente a contratto all’Aseri dell’Università Cattolica di Milano.

Il movimento yemenita ha annunciato nei giorni scorsi la sospensione degli attacchi contro Israele e contro le navi commerciali nel Mar Rosso, dopo due anni in cui i loro droni e missili hanno trasformato la regione in uno snodo critico della competizione globale: l’Indo-Mediterraneo, la regione che collega Europa e Asia. Ardemagni invita però a leggere la lettera diffusa dal leader dell’organizzazione, che da oltre un decennio ha rovesciato il governo di Sanaa e conquistato ampie fette di territorio, come un messaggio costruito, più che come una svolta reale. “In questo caso, mi sembra che il messaggio ‘sotto testo’ sia la volontà di enfatizzare il ruolo degli attacchi houthi nella scelta di Israele di accettare il cessate il fuoco con Hamas”, afferma.

La pausa serve agli Houthi su più fronti. Secondo Ardemagni, la riduzione delle ostilità diminuisce “le probabilità che Israele bombardi lo Yemen”, offrendo al movimento un vantaggio tattico in una fase delicata. Gli Houthi possono “ristrutturarsi sul territorio”, dopo aver perso il loro capo di stato maggiore in uno strike israeliano, e al tempo stesso “ripristinare le infrastrutture danneggiate e rafforzare la rete delle alleanze extra-Iran”. La studiosa inserisce questa scelta in una logica coerente con altre tregue che il movimento ha accettato negli ultimi anni: “La tregua informale con l’Arabia Saudita dal 2022 e il cessate il fuoco con gli Usa dal maggio 2025 hanno la stessa funzione”.

Mentre sospendono gli attacchi esterni, gli Houthi irrigidiscono il controllo interno. Ardemagni nota che “ora che tutti i fronti esterni sono in stand-by, gli Houthi stanno intensificando la repressione interna nei territori controllati, nonché la caccia alle presunte spie colpendo funzionari Onu e persino della Croce Rossa”. È una dinamica tipica della loro governance: “Il classico copione di un gruppo armato che, per storia e per governance coercitiva, non è in grado di esercitare il controllo senza additare un nemico in chiave di mobilitazione, sia esso esterno o interno”. Per questo, aggiunge, lo stop non è definitivo e non deve essere interpretato come una scelta di lungo periodo: “Quando servirà di nuovo a promuovere i propri obiettivi, compresa l’autoconservazione, gli Houthi torneranno ad attaccare esternamente, con un nuovo/vecchio pretesto”.

Sul futuro politico del conflitto yemenita, Ardemagni rimane scettica. “Nonostante gli sforzi dell’Inviato Onu, non mi aspetto svolte diplomatiche sul conflitto in Yemen, per lo meno non nel breve periodo”, osserva. Il governo yemenita, sostiene la studiosa, si sta concentrando su due fronti che considera prioritari: mitigare la gravissima crisi economica e contrastare il contrabbando di armi e droga diretto agli Houthi. Per Ardemagni i due aspetti sono legati da un equilibrio fragile: ritornare a esportare petrolio dai porti del sud “offrirebbe al governo una boccata d’ossigeno sotto forma di rendita da utilizzare per alleviare la perdurante crisi elettrica delle città del sud e pagare gli stipendi dei dipendenti pubblici”, ma ciò richiede di mettere in sicurezza la costa meridionale, che gli Houthi avevano colpito nel 2022 interrompendo l’export.

In questa fase la cooperazione internazionale ha un ruolo decisivo. Ardemagni sottolinea che la partnership regionale e internazionale, “capeggiata da Arabia Saudita e Gran Bretagna”, punta a rilanciare la Guardia Costiera yemenita attraverso fondi, equipaggiamenti e formazione. La Guardia Costiera, afferma, “può fare molto, come infatti sta facendo dall’inizio del 2025, per intercettare i carichi di armi in mare, come testimoniano le sempre più frequenti confische”, anche se rimane dipendente dalla protezione militare della coalizione guidata da Riad per difendere i porti da attacchi diretti.

Il contrasto al contrabbando di armi è uno dei pochi fronti su cui le istituzioni yemenite non mostrano divisioni. “Colpire le armi degli Houthi significa colpirne la capacità offensiva, ma anche uno degli strumenti di profitto, come il network in crescita con Al Shabaab e AQAP evidenzia”, conclude Ardemagni.

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