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Nel suo intervento alla Commissione Difesa, Guido Crosetto ha dichiarato che “è fallito il programma franco-tedesco” Fcas e che “probabilmente la Germania potrebbe entrare” nel progetto Gcap, aggiungendo che sono giunte manifestazioni d’interesse da Canada, Arabia Saudita e, potenzialmente, Australia. L’affermazione non è solo politica, ma fotografa un disequilibrio industriale ormai evidente.

Il Fcas, lanciato nel 2017 da Francia e Germania e poi esteso alla Spagna, prevedeva un investimento complessivo superiore ai 100 miliardi di euro con capacità operative nel prossimo decennio. La prima fase, già finanziata per oltre 3,5 miliardi, avrebbe dovuto portare al dimostratore del caccia Ngf. Le continue tensioni tra Dassault Aviation e Airbus sulla governance, sulla divisione del lavoro e soprattutto sulla proprietà intellettuale hanno però paralizzato il programma. Le recenti dichiarazioni dell’Ad di Airbus, secondo cui i francesi “sono liberi di abbandonare”, e lo scontro interno fra le due industrie su avionica, architettura di missione e accesso ai codici sorgente confermano una frattura strutturale e non un rallentamento fisiologico, ma l’incapacità di costruire una catena del valore unificata.

Il risultato è un’impasse industriale con costi crescenti. L’assenza di una leadership chiara ha generato duplicazioni di R&S, ritardi sui motori di nuova generazione e sul cloud di combattimento, mentre i segmenti più innovativi, teaming con droni, sensor fusion avanzata, richiedono investimenti continui e una gestione integrata. Ogni anno perso riduce il ritorno sugli investimenti e aumenta il rischio che il sistema arrivi tardi rispetto alla finestra tecnologica globale della sesta generazione.

Su questo sfondo si inserisce il Gcap di Italia, Regno Unito e Giappone, impostato con una logica opposta. Governance centralizzata nella joint venture Edgewing, ripartizione industriale stabile tra BAE Systems, Leonardo e Mitsubishi Heavy Industries, roadmap vincolante verso il primo volo nel 2029 e Ioc nel 2035. La fase R&S è stimata intorno ai 6 miliardi di euro, con un costo unitario atteso nell’ordine dei 300 milioni di dollari per piattaforma completa. Il confronto con l’F-35A, oggi circa 82,5 milioni fly-away, escluso motore, mostra la diversa natura del progetto con meno produzione di massa, più integrazione di capacità e architettura software-centrica, con sviluppo modulare di droni collaborativi, guerra elettronica e cloud tattico.

La flessibilità di questa architettura spiega l’apertura italiana a nuovi partner. L’ingresso di Germania o di Paesi extra-Nato come Arabia Saudita garantirebbe economie di scala, aumentando la base produttiva e riducendo il costo marginale per esemplare. Canada e Australia, già integrati in programmi complessi come F-35, Loyal Wingman e Aukus Pillar 2, avrebbero interesse ad accedere a un ecosistema industriale che consenta autonomia tecnologica e un maggiore ruolo nella supply chain, soprattutto nei segmenti ad alto valore aggiunto (sensoristica, materiali compositi, IA applicata alla gestione del combattimento).

Per Berlino il dilemma è particolarmente strategico. Fcas, ipotizzato per sostituire gli Eurofighter, rischia ora uno slittamento strutturale, mentre Gcap offre un orizzonte industriale più certo e capacità operative anticipate di almeno un quinquennio. L’adesione tedesca avrebbe però implicazioni politiche profonde. Sancirebbe la fine di un progetto europeo a guida franco-tedesca e aprirebbe una geografia della difesa continentale più policentrica, con Londra e Tokyo come poli di innovazione.

La sostenibilità di lungo periodo impone comunque una riflessione più ampia. L’Europa non può permettersi tre diversi caccia di nuova generazione (Rafale F5, Fcas e Gcap) senza disperdere risorse e rischiare sotto-scala produttiva. La scelta italiana di consolidare il Gcap come piattaforma aperta, massimizzando il ritorno industriale e mitigando i rischi di R&S tramite la diversificazione dei partner, riflette una valutazione realistica della competizione globale. Stati Uniti, Corea del Sud e Turchia stanno accelerando e la finestra per garantire autonomia tecnologica si sta rapidamente chiudendo.

Crosetto, insistendo sull’aumento della massa critica e sulla conseguente riduzione del costo unitario, indica quindi la direzione in una coalizione ampia. Oggi, nessun Paese occidentale, eccetto gli Stati Uniti,  è oggi in grado di sostenere da solo i costi della sesta generazione. La partita non è più solo industriale, ma di collocazione strategica.

Roma chiama, Berlino risponde. Il Gcap allargato fa felici tutti (o quasi)

Le parole di Crosetto sull’impasse del programma Fcas evidenziano una frattura industriale che rallenta l’Europa mentre il Gcap avanza con governance unificata, costi stabili e una roadmap credibile. L’interesse di nuovi partner, Germania inclusa, apre scenari geopolitici inediti e impone una scelta strategica per evitare la dispersione di risorse e costruire una massa critica davvero competitiva nella sesta generazione

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