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L’Esa prepara una svolta che parla di sicurezza europea e di autonomia tecnologica. Con il programma European resilience from space l’agenzia punta a trasformare l’osservazione della Terra in una infrastruttura duale capace di servire crisi civili e bisogni militari.

La proposta arriva mentre l’Unione discute una legge quadro per lo spazio che irrita gli Stati Uniti. Due mosse che corrono parallele e ridisegnano il baricentro della politica spaziale europea, tra ambizione industriale e nuove frizioni transatlantiche.

L’Europa consolida la rotta spaziale tra difesa e regole comuni

A fine novembre a Brema i ministri spaziali discuteranno Ers, un pacchetto da circa un miliardo che getta le basi per capacità reattive e sicure di osservazione, con sensori ottici e radar, elaborazione a bordo e servizi rapidi per utenti governativi. Nella visione di Esa la resilienza nasce da un Earth observation governmental service europeo, indipendente da fornitori terzi e integrabile con le catene di comando nazionali.

L’obiettivo è ridurre le dipendenze in un contesto di lanci scarsi e mercati ipercompetitivi, in cui l’accesso a dati tempestivi diventa leva di deterrenza e protezione civile. Il direttore generale Josef Aschbacher spinge per allineare investimenti civili e difesa dopo anni di sottofinanziamento, inserendo Ers nel solco della strategia 2040 e della richiesta di più autonomia strategica.

Intanto a Bruxelles procede il cantiere della legge spaziale Ue che introduce standard comuni su safety, cybersecurity, sostenibilità e gestione del traffico orbitale, con valutazioni ambientali lungo l’intero ciclo di vita dei sistemi. La reazione di Washington è netta. Gli Stati Uniti sostengono che il testo in bozza della legge spaziale europea introduca requisiti e restrizioni che penalizzerebbero le aziende extra-Ue, in particolare quelle americane, limitando l’accesso al mercato e alle gare pubbliche europee.

Secondo fonti del Dipartimento di Stato e del Pentagono, le nuove norme sarebbero discriminatorie e incompatibili con i principi di interoperabilità alla base della cooperazione Nato, rischiando di compromettere la condivisione di dati e servizi su meteo spaziale, osservazione della Terra e comunicazioni satellitari. Washington avverte inoltre che un approccio troppo protezionista potrebbe indebolire le sinergie industriali costruite negli ultimi vent’anni e rallentare i progetti congiunti nel dominio spaziale.

Un cambio di paradigma nella politica spaziale europea

La concomitanza tra Ers e Space act spiega un cambio d’epoca. Da un lato gli europei cercano massa critica industriale e continuità operativa dopo gli scossoni degli ultimi anni, con l’idea di federare asset nazionali e colmare il gap su servizi critici, dalla sorveglianza alle emergenze. Dall’altro fissano regole comuni che rendano più prevedibile il mercato interno, anche a costo di attriti con alleati storici.

Se Ers promette un ciclo continuo di sviluppo fino al 2035 e un primo dispiegamento già nella prossima programmazione, la legge può diventare cornice per l’interoperabilità e per responsabilizzare i grandi player su sostenibilità e sicurezza cibernetica. Il punto di equilibrio passa per un dialogo trasparente con gli Stati Uniti per evitare duplicazioni e chiusure, salvaguardando allo stesso tempo la capacità europea di decidere su infrastrutture strategiche. 

La sfida è coniugare autonomia e apertura, trasformando una stagione di tensioni in un’agenda condivisa che rafforzi industria, alleanze e resilienza del continente.

L’Unione guarda al cielo. Ers e Space act ridisegnano l’autonomia strategica

L’Europa accelera nella politica spaziale intrecciando ambizione industriale e difesa comune. L’Esa propone il programma Ers per una rete autonoma di osservazione della Terra, mentre Bruxelles prepara una legge spaziale che irrita Washington. Tra investimenti miliardari, standard comuni e timori di protezionismo, l’Ue punta a costruire una resilienza strategica che ridefinisce il futuro dell’autonomia europea

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