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Un gioco a perdere, dunque non a saldo zero. Succede anche questo al tempo di una Cina forte e tonica solo a un occhio poco attento. Da una parte il Dragone continua ad attrarre sempre più investimenti da parte delle imprese europee. E questo per un motivo molto semplice: Pechino non rispetta le regole della normale concorrenza, portare i propri prodotti in Cina vuol dire risultare costantemente sorpassati dalle merci cinesi. E allora, l’unica possibilità che rimane alle aziende dell’Europa per mantenere un presidio nella seconda economia globale, è quello di entrare direttamente nelle fabbriche del Dragone. Con quote rigorosamente di minoranza o marginali.

Per questo, come racconta il Financial Times, la dipendenza delle imprese europee dalla Cina c’è e si sente. Solo che si materializza più che con le vendite, con gli investimenti. “A conti fatti, le aziende europee non stanno diventando meno dipendenti dalla Cina. Al contrario, le aziende di tutto il mondo stanno in generale diventando più dipendenti dalla Cina”, ha dichiarato al quotidiano britannico Jens Eskelund, presidente della Camera di commercio europea in Cina.

Secondo il centro studi Rhodium gli investimenti diretti esteri manifatturieri dell’Ue hanno continuato a confluire in Cina dal 2021, raggiungendo un livello record di 3,6 miliardi nel secondo trimestre dello scorso anno. Ma ecco il rovescio della medaglia, il gioco a perdere poc’anzi menzionato. Mentre le imprese del Vecchio Continente puntano sulla Cina per non rimanere tagliate fuori dal mercato, Pechino sta trasformando l’Unione europea nella sua destinazione prediletta per i capitali. I dati Eurostat e le analisi più recenti parlano chiaro: nell’ultimo anno gli investimenti diretti cinesi nell’Ue sono esplosi dell’80%, raggiungendo i 9,5 miliardi di euro.

Con una differenza. Fino a qualche anno fa, la Cina praticava principalmente acquisizioni, comprando aziende europee strategiche (come Pirelli o Kuka) per acquisirne il know-how e la tecnologia. Oggi la strategia è focalizzata su investimenti Greenfield: costruire nuove fabbriche da zero (specialmente batterie e auto elettriche) in Paesi come Ungheria e Spagna. Questo permette al Dragone di penetrare il mercato, ma spesso senza trasferire le tecnologie più avanzate, che restano in madrepatria. L’Europa, insomma, non ci guadagna nulla.

La Cina fa le scarpe all'Europa sugli investimenti. Ecco come

Se da una parte le imprese del Vecchio Continente continuano a investire nelle imprese del Dragone, unico modo per mantenervi un presidio visto che la leale concorrenza a Pechino non esiste, dall’altra le aziende cinesi aprono fabbriche in Ue ma senza condividere tecnologia e piani industriali. E l’Europa ci perde

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