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Con l’Europa che finalmente ha cominciato ad alzare le prime, vere, barriere contro il Dragone e con gli Stati Uniti protetti da una fitta rete di dazi, la traiettoria dell’export cinese ha subito dei cambiamenti. Meno Occidente, più Africa. Ma stavolta mica prestiti miliardari, quelli hanno già fatto i loro danni e messo sotto sopra le finanze del continente. Semmai pannelli solari, a tonnellate e minerali critici, di cui Pechino è il semi-monopolista globale. L’Africa è insomma la nuova frontiera cinese.

Ma l’Occidente non ha nessuna intenzione di starsene a guardare mentre il Dragone irretisce ancora una volta il continente. Un po’ l’Europa con il Piano Mattei battente bandiera italiana, un po’ gli Stati Uniti, l’argine piano piano si alza. L’ultimo esempio riguarda una società statunitense, la Ivanhoe Atlantic, attualmente impegnata nella miniera di ferro di Kon Kweni, nel distretto di Simandou in Guinea, con annessa ferrovia. La società sta sviluppando un progetto da 1,8 miliardi di dollari che prevede sia lo sfruttamento del sito estrattivo, sia la costruzione di una linea ferroviaria. E che linea.

La nuova infrastruttura collegherà infatti la Liberia alla Guinea, creando un corridoio strategico che promette di ridisegnare il volto del commercio regionale. Il nuovo tracciato sarà la spina dorsale di un sistema integrato per il trasporto delle immense riserve minerarie guineane, in particolare il ferro, verso i porti liberiani. Qui, le esportazioni potranno raggiungere con maggiore rapidità e competitività i mercati globali. Un progetto che vuole sfidare la Cina che proprio su quei territori ha puntato gli occhi da tempo.

Non a caso Ivanhoe intende trasportare il minerale, al 66,5% di purezza, tra i migliori del mondo, proprio attraverso la vicina Liberia per evitare di utilizzare la ferrovia cinese di recente costruzione di 600 km che collega Simandou ai principali mulini cinesi attraverso un porto della Guinea. Bronwyn Barnes, presidente e amministratore delegato di Ivanhoe Atlantic, ha dichiarato che il progetto da1,8 miliardi aiuterebbe a contrastare la presa stretta della Cina sui minerali critici. “Ogni tonnellata che produciamo è riservata esclusivamente alle catene di approvvigionamento statunitensi e alleate”, ha detto Barnes. “Niente andrà in Cina”.

Insomma, le sorti dell’Africa potrebbero cambiare e il suo baricentro spostarsi dalla Cina all’Occidente. Secondo un’analisi della John Hopkins, gli Stati Uniti hanno di fatto superato silenziosamente la Cina come maggiore investitore diretto estero in Africa. Washington ha infatti puntato sul continente nel 2024 7,8 miliardi di dollari (6 miliardi di sterline), rispetto ai 4 miliardi di dollari della Cina (i flussi hanno raggiunto il picco nel 2008, raggiungendo i 5,5 miliardi di dollari, trainati dall’acquisizione da parte della Industrial and Commercial Bank of China di una quota del 20% nella Standard Bank of South Africa). Un segnale.

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