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Roma torna a guardare verso Sud, Berlino accelera sulla dorsale SoutH₂, Rabat e Il Cairo schierano roadmap e zone economiche speciali: nel Mediterraneo la diplomazia dell’idrogeno verde – spinta dalla fine del gas russo e dall’urgenza climatica – si fa vettore di un nuovo equilibrio energetico, industriale e geopolitico che intreccia infrastrutture, catene del valore e sicurezza dei rifornimenti.

Il dossier, fotografato dai due recenti policy paper della Luiss Mediterranean Platform (disponibili qui e qui), mostra come l’idrogeno verde sia passato da “semplice vettore” a “strumento di partnership strategica” con l’obiettivo dichiarato di evitare di sostituire una dipendenza fossile con una dipendenza “molecolare” – laddove tecnologia, capitale e certificazioni ambientali rimarrebbero comunque europee.

Una doppia traiettoria si delinea. Da un lato l’Unione europea, armata di REPowerEU e di 40 GW di elettrolisi al 2030, cerca corridoi meridionali (TransMed riconvertito, SoutH₂, Medlink) per importare fino a 10 Mt/anno, standardizzando codici doganali e garanzie d’origine; dall’altro le capitali nord-africane competono per diventare “primi movers” nel mercato globale della molecola verde, attrarre finanza mista e industrializzare la filiera degli elettrolizzatori.

Il laboratorio marocchino

Il Marocco, forte della Green Hydrogen Roadmap 2021 e dell’iniziativa “Morocco Offer”, ha già allineato la decarbonizzazione nazionale agli obiettivi export: interconnessione con la Penisola iberica, cavo Xlinks verso il Regno Unito, pipeline Ovest-Africa da 5 600 km e mega-progetti HEVO-Sahara che promettono oltre 120 kt/anno di H₂ entro il 2030. Tuttavia, la penuria d’acqua, la persistenza di carbone nel mix elettrico e il rischio di deviare le migliori risorse solari verso l’export alimentano il dibattito interno sui compromessi fra sicurezza domestica e rendita esterna.

Il cantiere egiziano

L’Egitto gioca la carta della SCZone di Ain Sokhna, dove memoranda per 40 miliardi di dollari promettono 220 kt/anno di idrogeno e derivati, integrando la capacità LNG esistente e la Via di Suez in un hub tri-continentale. Il sostegno europeo – 5 miliardi fra EIB, EBRD e InvestEU – mira a scalare produzione, certificazione CBAM-compliant e manifattura di elettrolizzatori, mentre Il Cairo combatte con valuta debole, debito estero e rete elettrica da ammodernare.

Ombre sulla catena del valore

Greenpeace accusa l’Unione europea di “green-washing mediterraneo”, ricordando che spostare la CO₂ fuori dal continente non equivale a neutralizzarla e che i progetti mega-scala rischiano di espropriare terre aride e risorse idriche alle comunità locali. Il nodo dell’equità energetica torna così centrale: solo regole di contenuto locale, trasferimento tecnologico e tariffazione progressiva potranno evitare di replicare la vecchia asimmetria gas-centrica in versione H₂.

Connettività euro-med: la prospettiva strategica

Secondo Luigi Narbone, direttore della LUISS Mediterranean Platform e già ambasciatore dell’Unione europea nei Paesi del Golfo, la guerra in Ucraina ha riportato la regione Mena al centro della sicurezza energetica europea, ma l’idrogeno è soltanto la punta dell’iceberg. Il Mediterraneo, già attraversato dalla Belt and Road Initiative cinese, sta diventando un crocevia di corridoi terrestri e marittimi alternativi: dal Development Road Project che collegherà il Golfo Persico al Mediterraneo attraverso Iraq e Turchia, al Corridoio India-Medio Oriente-Europa (Imec) annunciato al G20 del 2023. In questo contesto, le strategie europee di near-shoring e friend-shoring possono trovare in Marocco ed Egitto partner capaci di ospitare segmenti di catene del valore critiche – dai minerali necessari alla transizione digitale fino alla componentistica per le rinnovabili. Un approccio realmente strategico alla connettività, fondato su cornici regolatorie comuni, partenariati pubblico-privati e colmatura dei gap infrastrutturali nei trasporti, nell’energia e nel digitale, consentirebbe di trasformare queste rotte in accordi “win-win” in grado di generare crescita sostenibile e coesione socioeconomica su entrambe le sponde.

In definitiva, l’idrogeno verde è la cartina di tornasole della nuova interdipendenza euro-mediterranea: infrastrutture fisiche – pipeline, cavi HVDC, porti – devono procedere di pari passo con strumenti normativi – certificati d’origine, CBAM, Hydrogen Bank – e con la finanza mista del Global Gateway, altrimenti Pechino occuperà rapidamente lo spazio con supply chain a basso costo. Per l’Europa la sfida non è soltanto importare molecole pulite, bensì co-progettare valore industriale a Sud, affinché Rabat e Il Cairo trasformino sole e vento in filiere, occupazione qualificata e resilienza climatica condivisa.

Così l’idrogeno verde sale sul ponte euro-mediterraneo

Di Gabriele Marchionna

Il Mediterraneo sta diventando un crocevia di corridoi terrestri e marittimi alternativi. In questo contesto, le strategie europee di near-shoring e friend-shoring possono trovare in Marocco ed Egitto partner capaci di ospitare segmenti di catene del valore critiche. L’analisi di Gabriele Marchionna (associate researcher, Luiss Mediterranean Platform)

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