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Sono trascorsi appena tredici giorni dalla visita di Zelensky al Castello Reale di Varsavia. Laddove Polonia e Ucraina hanno prospettato al mondo e agli abitanti del Vecchio continente un futuro comune, privo di confini e alimentato dall’universalismo dei valori che sagomano la nuova alleanza, parto naturale del conflitto sprigionato dalla crisi del Donbass. Quindi: pace, prosperità, ricostruzione, abbattimento delle barriere storiche e commerciali, gemellaggi etici senza tener conto della complessità dell’interesse nazionale. Del resto, l’orrore della guerra indetta da Vladimir Putin è talmente intenso, raggelante, legato alla catastrofe e alla morte, che ciascuno di noi sarebbe disposto ad abbracciare la pace a qualunque costo. Anche a costo di destabilizzare il sistema interno. Tuttavia la politica estera non poggia sul sentimentalismo ideologico, bensì sull’equilibrio tra i diversi livelli di energia politica (interessi geostrategici, rifiuto o propensione alla cooperazione e corsa alle risorse) che costituiscono e indirizzano l’azione degli Stati.

Già durante l’incontro tra Volodymyr Zelensky e Andrzej Duda, il clima era stato appesantito dalle proteste degli agricoltori polacchi e dalle rispettive organizzazioni di categoria a causa dell’aumento dei prezzi e dell’immissione sfrenata di grano ucraino nel mercato interno, e che in breve tempo ha provocato le dimissioni del ministro dell’Agricoltura e dello sviluppo rurale Henryk Kowalczyk e un nuovo alterco con Bruxelles. Kowalcyzk ha rassegnato le dimissioni dicendosi consapevole che le rivendicazioni degli agricoltori polacchi non sarebbero state soddisfatte, soprattutto dopo la bozza pubblicata dalla Commissione europea in merito all’estensione delle importazioni di cereali dall’Ucraina, esenti dai dazi fino al 5 giugno 2024.

Anna Słojewska, corrispondente di Rzeczpospolita, afferma che la decisione intrapresa e annunciata da Jarosław Kaczyński viola il Dcfta (Accordo di libero scambio globale e approfondito) e il regolamento del 4 giugno 2022. Il primo redatto allo scopo di includere l’Ucraina nel circuito commerciale per permetterle di raggiungere gli standard economici dell’Unione europea e il secondo volto a fornire una risposta immediata alla Russia. Slovacchia, Romania e Ungheria si accodano alla decisione intrapresa da Varsavia (assist perfetto per Orbàn e la politica estera adottata dal suo governo), riproponendo il V4 (gruppo di Visegrad) nella sua unità (eccezion fatta per la Repubblica Ceca) che l’aggressione russa aveva guastato. Un divergente accordo che condiziona le istituzioni europee e pone in risalto il primato della geopolitica sulla politica mondo, sulla pretesa illusoria della longevità di una visione omologante su vasta scala. E il fronte centro-orientale tende ad allargarsi. Oggi il governo bulgaro vieterà l’importazione di circa venti merci ucraine, compreso il grano, dal 24 aprile al 30 giugno. I corridoi di solidarietà, istituiti per garantire l’esportazione del grano ucraino, hanno messo a dura prova il ciclo della produzione nazionale e delle catene di approvvigionamento. Perciò Gălăb Donev primo ministro (ad interim) della Bulgaria, nonché noto promotore dei rapporti di buon vicinato con Mosca (ricordiamo i suoi sforzi verso una riapertura dei negoziati con Gazprom), giustifica: “Siamo costretti ad adottare questa misura nazionale, poiché le autorità europee stanno ancora valutando una risposta adeguata alle mutate circostanze a cui hanno introdotto i corridoi di solidarietà”.

Ora il punto è proprio Bruxelles. La reazione secca a questo rassemblement è stata presto soppiantata da una presa d’atto.

Nei giorni precedenti Miriam Garcia Ferrer, portavoce della Commissione europea per il commercio e l’agricoltura, aveva affermato: “In questo contesto, è importante sottolineare che la politica commerciale è di competenza esclusiva dell’Ue e, pertanto, non saranno accettate misure unilaterali. In tempi così difficili, è fondamentale coordinare e allineare tutte le decisioni all’interno dell’Ue”.

Oggi, invece, il Financial Times esordisce con un annuncio categorico: “Il blocco si inchina alle pressioni della Polonia e di altri Stati dell’Europa orientale per l’afflusso di generi alimentari a buon mercato”. Bruxelles decide di metter mano alla questione, studia un piano per arginare l’emergenza legata alle importazioni del grano ucraino e prevede un impegno di 100 milioni di euro come risarcimento per gli agricoltori dei cinque Stati membri. Tuttavia, la Commissione premette che agirà solo se i governi sceglieranno di abbandonare le misure adottate. Come riporta il quotidiano britannico, ad evidenziare i riflessi lenti di Bruxelles ci pensa Konrad Szymański, ex ministro per gli affari europei della Polonia e attualmente attivo nel Polish Economic Institute.

“Von der Leyen ha ricevuto quella che era una lettera urgente dai governi interessati e se avesse risposto entro due o tre giorni anziché ora, probabilmente non avremmo avuto un problema del genere”.

La battaglia del grano apre uno scenario teso che necessita di una soluzione rapida al fine di redistribuire i prodotti ucraini sulla piattaforma continentale e di facilitare il loro passaggio oltre le frontiere dell’Unione Europea. Inoltre, la questione commerciale non fa che consolidare un dato politico: la Polonia conta, pretende e determina. E le sue rivendicazioni non comportano alcuna regressione nei rapporti bilaterali con Kiev. D’altronde, il sostegno militare, l’accoglienza riservata ai profughi ucraini, la russofobia come carattere dominante nelle relazioni internazionali e il patto d’acciaio con gli Usa, non consentono il declassamento di Varsavia da coda di cefalo a testa di alice. Anzi, ne accentuano il peso e la forza contrattuale in Europa.

In più, l’atteggiamento assunto dall’esecutivo polacco sottopone alle istituzioni comunitarie un quesito (del tutto legittimo), in termini habermasiani, con cui nel corso delle crisi contingenti e alla fine del conflitto bisognerà fare i conti: che fare della costellazione post-nazionale?

Di sicuro risulterà vitale rivisitare i capisaldi dell’ordine occidentale e tener conto della nuova Europa che nascerà dal boato della guerra. Un rimodellamento geopolitico che, come la battaglia del grano insegna, non potrà fare a meno di contemplare la Polonia e il suo V4 tra la schiera dei protagonisti.

La battaglia del grano che ricompatta il gruppo di Visegrad e condiziona Bruxelles

La battaglia del grano è appena cominciata. Cinque Stati membri (Polonia in testa) decidono di adottare misure radicali per frenare l’ingresso del grano ucraino nei rispettivi territori nazionali per tutelare il proprio tessuto produttivo. Le rivendicazioni degli agricoltori locali ricompattano il V4 senza mettere a repentaglio la fedeltà polacca al campo atlantico e, dopo un’iniziale chiusura, Bruxelles…

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