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Mentre Washington rimane focalizzata sui semiconduttori più avanzati, e in particolare su quelli legati all’Intelligenza Artificiale, Pechino sta silenziosamente costruendo una posizione dominante in un settore meno appariscente ma altrettanto cruciale, quello dei cosiddetti chip “fondamentali”. Questi componenti, prodotti con nodi di processo pari o superiori ai 28 nanometri, sono considerati spesso in modo superficiale come prodotti “legacy”, quasi fossero tecnologie superate. In realtà, questi chip costituiscono l’ossatura tecnologica di un numero enorme di applicazioni civili e militari, dalle automobili ai dispositivi medici, dalle reti elettriche e di telecomunicazione ai sistemi d’arma sul campo.

In un articolo pubblicato sul Financial Times Mike Kuines, distinguished visiting fellow per l’Hoover Institution e consigliere per la sicurezza nazionale dell’ex leader di maggioranza al Senato Chuck Schumer, delinea la portata del fenomeno: Pechino controlla già circa il 40 per cento della capacità produttiva mondiale e, se la tendenza attuale continuerà, potrebbe raggiungere una posizione ancora più dominante entro la fine del decennio. Nonostante ciò, la questione rimane in secondo piano rispetto alla più spettacolare competizione per la leadership nell’AI, e questo rappresenta un errore di prospettiva.

Questi chip sono tutto fuorché marginali, come evidenzia Kuines. Qualsiasi dispositivo elettronico con un interruttore di accensione ne contiene almeno uno, e gran parte delle infrastrutture critiche dipende dal loro funzionamento. Anche per il settore della difesa la loro importanza è fondamentale, poiché se i semiconduttori avanzati sono il “cervello” dei sistemi militari, quelli fondamentali rappresentano il “pugno” operativo. Missili Patriot, caccia F-16 e sistemi Javelin impiegati in Ucraina si basano su componenti di questo tipo. Cedere il controllo della loro filiera produttiva equivale, in sostanza, a cedere parte del controllo dell’arsenale nazionale.

Fino ad ora, la politica industriale americana ha scelto di concentrare la gran parte degli investimenti sui chip più sofisticati. Il Chips and Science Act ha segnato una svolta storica: al momento della sua approvazione, gli Stati Uniti non avevano praticamente alcuna capacità produttiva per i semiconduttori di ultima generazione, e i fondi stanziati hanno cominciato a colmare il divario. Tuttavia, la distribuzione delle risorse è fortemente sbilanciata. Dei 39 miliardi di dollari previsti in sussidi alla produzione, circa 28 sono destinati agli impianti per chip avanzati, mentre ai chip fondamentali va solo una parte residua. Questo squilibrio rischia di lasciare scoperto proprio il segmento in cui la Cina si sta muovendo con maggiore decisione, sostenuta da massicci interventi statali che rendono inefficace la semplice logica di mercato.

Le indagini in corso da parte delle autorità statunitensi saranno decisive per capire se le pratiche cinesi possano essere considerate violazioni commerciali perseguibili e minacce alla sicurezza nazionale. Ma limitarsi all’imposizione di tariffe mirate difficilmente basterà: la scala della produzione cinese richiede misure strutturali più profonde. Un recente sondaggio del Dipartimento del Commercio ha rivelato che i chip prodotti in Cina sono ormai onnipresenti nelle filiere americane, e che circa la metà delle aziende non è nemmeno in grado di stabilire con certezza se li utilizza. Una delle proposte più concrete per affrontare questo problema è l’introduzione di un obbligo di “know your chip”, sul modello delle norme di simili esistenti in ambito finanziario, per costringere le imprese a mappare e dichiarare l’origine dei propri componenti.

Un monopolio cinese potrebbe avere anche altri tipid i ricadute strategiche. Per decenni la profonda integrazione della Cina supply chain globali ha funzionato come un potente deterrente, rendendo un conflitto nello Stretto di Taiwan economicamente proibitivo per entrambe le parti. Ma se Pechino raggiungerà l’autosufficienza nei chip fondamentali mentre l’Occidente continuerà a dipendere dalle sue forniture, questo equilibrio si incrinerà. Se le infrastrutture tecnologiche critiche e i componenti essenziali dell’arsenale americano saranno costruiti con interruttori controllati dal principale rivale strategico, la competizione per la leadership nell’AI diventerà quasi irrilevante.

Garantire filiere resilienti, interne e alleate, per i chip fondamentali non è quindi un problema “secondario” da affrontare dopo aver risolto le sfide più sofisticate. È una priorità nazionale urgente e non negoziabile. Le indagini in corso rappresentano probabilmente l’ultima occasione per agire con decisione. Non farlo significherebbe trasformare la forza tecnologica americana in una leva strategica per la Cina, incorporata in ogni automobile, missile e dispositivo medico prodotti negli Stati Uniti.

L'altra corsa ai chip. Perché Washington è in svantaggio rispetto a Pechino sui semiconduttori

Dietro la corsa all’AI si gioca una partita meno visibile ma potenzialmente più decisiva. La Cina controlla già il 40% della produzione globale di chip fondamentali, mentre la politica industriale americana li trascura. Se non si interviene ora, la supremazia tecnologica americana potrebbe trasformarsi in dipendenza strutturale

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