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Ci sono almeno due buone notizie in questo ultimo venerdì di settembre. Primo, non c’è nessun allarme rosso sui mercati, il debito italiano rimane in zona di sicurezza, come dimostra il ripiegamento dello spread a 190 punti base, dopo la fiammata di ieri a 200 (sui, attenzione, c’è la manina della Bce che da un anno pompa i tassi) e la contrazione dei rendimenti sul Btp decennale al 4,8%, 13 punti base in meno di giovedì. Secondo, l’inflazione, all’indomani della sigla a Palazzo Chigi del patto tra governo e imprese della distribuzione per un calmieramento dei prezzi allo scaffale fino a dicembre, mostra un primo cedimento.

Non è, sia chiaro ottimismo a buon mercato. Ma una fotografia che, almeno per qualche giorno, darà la cifra della situazione. Va detto che l’aggiornamento dei saldi di finanza pubblica approvati dal governo lo scorso giovedì, ha certificato la natura prudente e cauta della prossima manovra, che porta la firma e l’impronta di Giancarlo Giorgetti: deficit 2023 al 5,2% ma dopato dal Superbonus, in riduzione al 4,3% nel 2024 (scostamento che frutterà 14 miliardi), il tutto per una finanziaria che difficilmente andrà oltre i 20-25 miliardi, dieci dei quali destinati al taglio del cuneo fiscale mentre il resto andrà per il sostegno alle famiglie e un primo taglio di bisturi all’Irpef. Ci può stare dunque che i mercati ne escano consapevoli, anche se consapevoli che l’appuntamento con la crescita è rimandato (nel 2024 non si andrà oltre l’1,2%, secondo le stime dell’esecutivo).

Le parole di Federico Freni, sottosegretario al Tesoro arrivano dunque a corredo di una situazione di fatto. “Mi rendo conto che talvolta l’assenza di notizie o la noia delle notizie possa creare notizie, però 200 punti di spread con un calo a 194-196, non è affatto un tasso preoccupante. Noi avevamo ad aprile e maggio di quest’anno uno spread più alto. Se guardate le serie storiche, punti di spread non è affatto una reazione preoccupante, anche perché il livello dei tassi attuali con il tasso su Btp decennale a 4,8 crea sicuramente un peso per le finanze pubbliche in termini di spesa per interessi, il che ovviamente aggrava progressivamente la percezione dei mercati. Io non mi preoccupo minimamente, anche perché l’Italia è considerato oggi un paese molto più affidabile di quanto non lo fosse considerato”, ha messo in calce Freni.

Che poi ha rincarato la dose. “Personalmente la reazione dei mercati non la vedo né preoccupante, né scomposta e aggiungo io che la Nadef è soltanto la cornice nella quale reinserire la legge di bilancio. Mi preoccuperò quando lo spread dovesse salire, ma non credo che avverrà, sopra una soglia di guardia. Io credo che una soglia di guardia dello spread possa essere il massimo della serie storica toccato negli ultimi 4 anni, quindi 340/350 che è il massimo dal 2018 ad oggi”.

Poi c’è l’altra buona novella, l’inflazione che rallenta. A settembre il costo della vita ha registrato un aumento dello 0,2% su base mensile e del 5,3% su base annua, da +5,4% del mese precedente. Si attenua di riflesso la crescita su base annua dei prezzi del carrello della spesa, che a settembre si attesta al +8,3% da +9,4% di agosto. Certo, c’è da mettere nel conto nelle prossime settimane l’impatto delle bollette (l’Arera ha aggiornato i costi della luce a +18% nell’ultimo trimestre) sui conti che darà l’Istat a metà ottobre, quando confermerà o meno il dato preliminare. Ma per il momento può bastare.

 

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