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Nelle democrazie serie i voti oltre a contarli bisogna anche pesarli. Questo perché il numero dei voti va e viene ad ogni elezione, ma il loro “peso” rappresenta la continuità con il passato e la proiezione verso il futuro, interessi profondi e stabilizzanti di un Paese.

Se si vuole è un altro modo di parlare della “egemonia culturale” identificata da Gramsci e diventata di moda con gli americani del “soft power”. Così, è certo giusto che i numeri si contino, ma sarebbe ingenuo pensare di non pesarli.
Al di là quindi del sostegno elettorale odierno o prossimo a favore di una riforma costituzionale in senso presidenziale, allora bisogna pensare anche a quanto pesa oggi tale idea.

La proposta cambierebbe l’assetto di amministrazione del Paese e non può essere esaminata in vitro, in astratto, senza considerare gli effetti concreti che avrebbe.

L’ipotesi era stata all’inizio della legislatura sostenuta anche da un illustre giurista super partes come Sabino Cassese. Ma ciò era prima dei tanti scivoloni, istituzionali e non, del governo.

Non solo, ora il gabinetto di Giorgia Meloni propone l’elezione diretta del presidente o del premier, come se le due cose si equivalessero, e il leader di Italia Viva, Matteo Renzi, fa eco dicendo di essere stato sempre a favore del “sindaco d’Italia”.

In questi titoli affastellati però si sente un alleggerimento del peso dei voti. Infatti c’è sicuramente un nodo di problemi dove però tanti fili portano da parti diverse.

C’è un problema sostanziale storico di ricalibratura della Costituzione. Essa era stata pensata per evitare una deriva autoritaria con una serie di regole formali e informali che congelavano i voti dell’estrema destra e dell’estrema sinistra.

Con il crollo del muro di Berlino quei voti sono stati scongelati e con la nuova legge elettorale maggioritaria la governabilità secondo la Costituzione è diventata molto più faticosa. A ciò si è poi sommato lo scadimento progressivo della compagine degli eletti, spesso guidati da brama di successo immediato e non da programmi di lungo termine.

Per compensare il groviglio, una soluzione potrebbe essere concedere più poteri dati a un capo dell’esecutivo direttamente eletto dal popolo. Ma qui le formule non sono banali.

L’elezione diretta del presidente comporta le domande: “Il premier c’è? Il governo chi lo fa?”.

Il premier eletto direttamente significa: “Che fa il presidente? Il governo chi lo fa?”.

Il sindaco d’Italia che cosa significa dietro la formula fantasiosa?

Senza chiarimenti tutto appare fumoso. Poi, oltre a concentrare i poteri bisogna anche pensare a controbilanciarli altrimenti si scivola verso un regime autoritario.

Ungheria o Turchia sono precedenti in cui governi democraticamente eletti poi acquisiscono nei fatti più poteri di quelli previsti. L’Italia è già passata da lì e destra, sinistra o centro, chiunque potrebbe essere tentato di prendersi più del dovuto.

Infine, la cronaca. Il ritorno della questione delle riforme istituzionali arriva dopo mesi faticosi passati a sbattere nomi per le nomine in prima pagina senza troppe spiegazioni (tizio o caio per il posto X. Ma perché tizio o non caio? Boh). Allora il ritorno ai temi grandi, non ben digeriti, induce al sospetto.

Si vuole più potere perché il premier non ha gravitas necessaria per imporsi oltre al potere investito nel ruolo? Se fosse così, tanto più non dovrebbe avere più potere.

Il potere investito delle istituzioni dovrebbe essere compensato dalla prudenza della gravitas personale. Il peso dell’uomo compensa così il peso della istituzione. Ma la leggerezza dell’uomo moltiplicherebbe i rischi di una istituzione pesante.

Inoltre c’è l’annoso problema della differenza tra l’incoronato e l’incoronante. Se Giorgia Meloni vuole diventare premier eletta direttamente non può essere lei o il suo partito a proporlo. Solo Napoleone si incoronò da solo, ma prima aveva conquistato mezzo mondo, e anche così non gli andò troppo bene.

Quindi se Meloni e i suoi propongono il premier d’Italia poi si autocandidano al pensionamento. È questo che vogliono davvero? Non è chiaro cosa si vuole fare e dove si vuole andare. Appare tanta confusione e leggerezza su temi invece pesanti, che forse andrebbero pesati diversamente.

Quanto pesa l'idea di un presidenzialismo in Italia. La risposta di Sisci

Il gabinetto di Giorgia Meloni propone l’elezione diretta del presidente o del premier e il leader di Italia Viva, Matteo Renzi, fa eco dicendo di essere stato sempre a favore del “sindaco d’Italia”. Si sente però un alleggerimento del peso dei voti e soprattutto c’è un problema sostanziale storico di ricalibratura della Costituzione. L’analisi di Francesco Sisci

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