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La spinta a decarbonizzare l’economia secondo le politiche climatiche europee (e non solo) passa dal trasformare il nostro sistema energetico, basato sulle fonti fossili, in un’architettura basata sull’elettrificazione. Cosa che ci porta necessariamente a ricostruire anche la catena di approvvigionamento. E come dimostra il difficile distacco dal gas russo, serve tenere a mente che appoggiarsi a Paesi terzi comporta dei rischi esistenziali. Così Gianclaudio Torlizzi, fondatore di T-Commodity,  consigliere del ministro della difesa Guido Crosetto e membro del Comitato Scientifico del Policy Observatory dell’Università Luiss, delinea la cornice in cui si deve collocare l’azione italiana nell’ultimo policy brief del think tank.

IL CAMPO MINATO DELL’APPROVVIGIONAMENTO

“La transizione energetica si tradurrà in un aumento della domanda di metalli critici tra cui rame, litio, nichel, manganese, cobalto, grafite, molibdeno, zinco, terre rare e silicio, il cui controllo si trova principalmente nelle mani della Cina”, che peraltro controlla gran parte del settore raffinazione. Ne consegue, scrive Torlizzi, che senza capacità di estrazione e raffinazione l’Europa rimarrà fortemente dipendente da Paesi che potrebbero decidere di applicare restrizioni.

La minaccia è già evidente: Pechino si è già mossa per imporre delle restrizioni all’esportazione delle terre rare – necessarie per tutti i prodotti tecnologici strategici, tra cui turbine eoliche, veicoli elettrici, smartphone e armi – e dei componenti per i pannelli solari, settore in cui è praticamente monopolista. In più bisogna considerare che da dove arriva la fornitura mineraria di materiali chiave per le batterie, che è fortemente concentrata: Australia (50%), Cile (20%) e Argentina (10%) attualmente controllano la produzione di miniere di litio, e non è detto che l’aumento della produzione proceda come previsto.

DOMANDA, OFFERTA E CARENZE STRUTTURALI

Con il Critical Raw Materials Act l’Ue mira a rafforzare l’approvvigionamento di materie prime critiche necessarie per la produzione delle suddette tecnologie. L’obiettivo è estrarre internamente almeno il 10% del fabbisogno annuale entro il 2030. Ma serve tener conto dell’impennata della domanda: Bloomberg stima che serviranno 242 milioni di tonnellate a fronte delle attuali 52 milioni. E c’è da raddoppiare le reti elettriche per far funzionare l’intero sistema, cosa che richiederà enormi quantità di rame, acciaio e alluminio.

Dall’altra parte c’è “una condizione dell’offerta particolarmente tesa”, frutto del trend ribassista del comparto delle commodities e dei target ambiziosi di decarbonizzazione: “due elementi, questi, che hanno indotto le aziende minerarie a non investire in nuova capacità produttiva dal 2014 a oggi”, scrive Torlizzi. Viste le previsioni di consumo e considerato lo stato attuale dell’offerta mondiale, continua l’esperto, “la maggior parte dei metalli utilizzati nel processo di transizione energetica sarà interessata da una carenza strutturale nell’arco dei prossimi anni”.

IL PIANO MINERARIO ITALIANO

Secondo lo studio del Policy Observatory della Luiss, Roma deve rispondere a tutte queste sfide aumentando la propria capacità estrattiva. L’indicazione di Torlizzi è adottare un Piano Nazionale Minerario, necessario “per garantire un livello soddisfacente di approvvigionamento all’industria italiana, il cui fabbisogno di metalli registrerà un’importante crescita dai valori registrati negli ultimi anni”. Senza contare che, come scrive l’esperto, dotarsi di una filiera estrattiva e di raffinazione di metalli “significa fornire al Paese una fonte di vantaggio competitivo nei confronti della concorrenza internazionale”.

ESTRAZIONE UGUALE SICUREZZA NAZIONALE

Il primo passo è una mappatura geologica del Paese, che come scrivevamo su queste colonne è già in fase di attuazione sotto la dirigenza del tavolo di lavoro per le materie critiche condiviso tra Mimit e Mase. Parallelamente serve aggiornare le normative che regolano l’attività mineraria, ferme al Regio Decreto N° 1443 del 1927 che è stato poi modificato per dare più potere alle Regioni. “Lo Stato dovrà riconoscere l’importanza dell’attività mineraria, nella tutela dell’interesse nazionale, intervenendo attivamente nella strategia di approvvigionamento”, rimarca l’esperto.

“Ciò significa che il concetto di sicurezza nazionale sul fronte dell’approvvigionamento di materia prima dovrà essere considerato superiore a quello della convenienza economica. E anche nei casi in cui si individuassero giacimenti di materia prima poco utilizzata dall’economia nazionale, la ratio dovrebbe essere quella di utilizzare tale disponibilità come merce di scambio al fine di ottenere da altri Paesi le materie prime di nostro stretto interesse”.

RAFFINAZIONE, RICICLO, STOCCAGGIO

Dopodiché, individuati i giacimenti, si dovranno trovare i siti dove procedere alla raffinazione dei minerali stessi. Tenendo in mente che, come ricorda Torlizzi, “l’attività di raffinazione rivest[e] un’importanza superiore a quella mineraria”: se da un lato è altamente probabile che i nuovi giacimenti verranno individuati, dall’altro serve rimuovere gli eventuali colli di bottiglia sulla parte relativa alla raffinazione, “attività particolarmente energivora e inquinante” che finora abbiamo appaltato a Paesi terzi.

Un altro capitolo cruciale deve considerare il recupero dei materiali, che passa anche dal disincentivare l’esportazione di rottame ferroso e non, che l’Italia e i Paesi europei possono utilizzare in loco invece di mandarlo a chi non solo non rispetta gli stessi standard ambientali (e conseguentemente incorre in costi di produzione inferiori), ma ci rivende il raffinato. Infine, trattandosi di materiali strategici per l’economia, soggetti alla forte volatilità che caratterizza le dinamiche di prezzo del comparto delle materie prime, Roma si deve dotare di una struttura di monitoraggio e trading al fine di “costruire delle riserve strategiche di metallo da immettere nel mercato nazionale in quei frangenti di forte carenza dell’offerta”.

LA FORZA DI FARE SISTEMA

In un’ottica di de-risking dalla Cina, “è opportuno che vengano stipulati accordi quadro per facilitare la fornitura di minerali e metalli raffinati da Paesi con i quali c’è stato finora un basso interscambio”, rileva Torlizzi. Canada e Australia sono degli ottimi candidati, vista la loro forte disponibilità di minerali e metalli  e la loro collocazione. E serve anche guardare all’Africa, dove le disponibilità minerarie di alcuni Paesi vanno bilanciate con l’instabilità geopolitica: dunque conviene “concentrarsi su quelle realtà nei confronti delle quali il nostro Paese vanta solidi legami”.

Infine, la strategia italiana non può prescindere dal concentrarsi sul creare campioni nazionali, anche in joint venture con gruppi minerari stranieri, per lo sfruttamento minerario nazionale e internazionale. Infatti, ricorda l’esperto, oltre al gap di estrazione e raffinazione l’Italia dovrà colmare anche quello della reperibilità dei capitali finanziari necessari e delle competenze. “Occorre pertanto incentivare lo sviluppo non solo delle realtà produttive italiane già presenti nel nostro Paese, ma anche di nuove che potranno nascere dall’incontro pubblico-privato”, sia nel Belpaese che all’estero.

Mining

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