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Il 5 e il 6 agosto chi segue le sorti dell’invasione russa in Ucraina – ossia il mondo intero – avrà gli occhi puntati su Jeddah, seconda città saudita, sulle sponde del Mar Rosso. Si parlerà di come fare la pace e ci sono trenta Paesi invitati (parteciperanno funzionari di rango, ma non capi di Stato e di governo). Tra questi: India, Brasile, Indonesia, Egitto, Messico, Cile, Zambia, Sud Africa. Non ci sarà la Russia, ci sarà l’Ucraina che presenterà la Ukrainian Peace Formula: dieci punti che secondo le ambizioni non significano solo pace russo-ucraina, ma addirittura costruiranno “i meccanismi per evitare futuri conflitti nel mondo” (parola di Andria Yermak, capo di gabinetto presidenziale).

È significativo che dal Golfo, dove si vantano ottime relazioni con la Russia nonostante la guerra, si scelga di evitare di includere Mosca. Può legarsi anche alle ambizioni basse riservate all’evento, che al di là delle dichiarazioni ottimistiche è comunque interlocutorio. Qualcosa di simile c’è stato a Copenhagen, a giugno, e non ha prodotto risultati. Invitare una sola parte in conflitto per cercare una pacificazione può anche significare che, mentre si ascoltano le ragioni di essa, gli si chiedano vie concrete per la successiva stabilizzazione. Ma Kyiv, lanciata in una controffensiva tanta annunciata quanto ancora sterile di risultati, accetterà eventuali passi indietro? Stando a quanto dichiara Yermak sul suo canale Telegram (dove non sfugge il gioco delle parti) non pare.

Il Cremlino dice che sarà possibile avviare negoziati solo quando (ma sarebbe meglio dire “se”) l’Ucraina accetterà “nuove realtà” – che in sostanza significa prendere atto che determinanti territori annessi da Mosca non torneranno mai sotto il controllo amministrativo di Kyiv. Per il momento, almeno in forma pubblica, questa evenienza viene considerata inaccettabile dall’asse Nato e dal governo ucraino, secondo il mantra di non fornire spiragli di legittimazione all’atto di forza di Vladimir Putin. Ma cosa può offrire il Riad? Domenica il Qatar ha annunciato lo stanziamento di 100 milioni di dollari di aiuti umanitari, sbloccati dalla visita del primo ministro qatarino a Kyiv.

L’Arabia Saudita aveva già inviato un pacchetto multimilionario agli ucraini e qualcosa di simile avevano fatto gli Emirati. Ora questo nuovo sforzo dal Golfo a livello diplomatico arriva in un momento in cui Riad intende prendere parte – in modo consistente – agli affari internazionali. Essere presente nei settori e nei momenti che contano, per esempio ha recentemente annunciato l’avvio di una joint venture mineraria in Brasile per assicurarsi produzioni, dunque parte nella catena di approvvigionamento, di metalli “utili per la transizione energetica”. E anche l’idea di invitare innanzitutto un gruppo di Paesi in via di sviluppo indica la direzione saudita. Riad sa che sono quei Paesi come l’Egitto o lo Zambia a risentire più pesantemente gli effetti della guerra, e vuole che Volodymyr Zelensky presenti a loro la sua idea di pace. Ma anche che questi spieghino a Zelensky quanto ritengano necessaria una pace. Qualcosa di simile era stato fatto con l’invito dell’ucraino al summit della Lega Araba di maggio.

Sotto questo punto di vista, i sauditi si muovono andando oltre alla forma di attività politica sul conflitto messa in atto dall’Occidente. Ed è un ruolo che intendono ricoprire in senso più generale. Secondo il Wall Street Journal, il primo a dare la notizia dell’incontro, Riad potrebbe giocare un ruolo ulteriore: “I diplomatici occidentali hanno detto che l’Arabia Saudita è stata scelta per ospitare il secondo turno di colloqui in parte nella speranza di convincere la Cina, che ha mantenuto stretti legami con Mosca, a partecipare”. Un’ulteriore centralità, facendosi da ponte tra le posizioni occidentali (e U.S.-lead) e quelle cinesi. C’è da giurarci che i sauditi abbiano inviato un invito a Pechino, al di là delle pretese occidentali fatte sapere al WSJ. Ma i cinesi potrebbero aver preferito saltare per via della presenza dei partner europei e statunitensi di Riad – con cui la Cina non vuole condividere, almeno per ora, il percorso di pace sull’Ucraina. Sebbene non è detto: Pechino potrebbe anche avere interesse a mostrarsi distante da Mosca e in generale disponibile al confronto.

L’obiettivo non è tanto l’incontro di questo fine settimana, ma un possibile grande summit a fine anno – e l’Arabia Saudita ambisce a ospitare anche quello. Anche se c’è la fila. La scorsa settimana, quando Putin ha ospitato a San Pietroburgo alcuni leader dei Paesi africani, gli è stata comunicata la volontà di questi di guidare il processo. Anche la Cina si sta muovendo da sola, e altrettanto sta cercando di fare il Vaticano (il recente incontro a Washington tra il papabile cardinale Matteo Maria Zuppi e Joe Biden indica davvero, come scrive Paul Elie sul New Yorker, che il presidente statunitense dopo 17 mesi di guerra riconosce il prospetto di un negoziato? E includere il mondo arabo in questo piano potrebbe essere una mossa dall’estremo valore politico, con riflessi su Riad, Abu Dhabi e al Azhar).

I sauditi (e non solo) giocano le loro carte sull’Ucraina

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