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Ai tempi della Prima Repubblica si diceva che la Rai è la metafora dell’Italia. È vero ancora oggi. Le polemiche sollevate da alcuni conduttori prima e la vicenda Saviano poi coincidono infatti con alcuni dei più antichi mali che affliggono la democrazia italiana: la mancanza di una visione comune fondata sul senso di responsabilità nazionale e lo spirito di fazione.

Nella patria del melodramma, drammatizzazioni e vittimismo sono la regola. Drammatica e vittimistica è stata dunque la rappresentazione che i vari Fabio Fazio, Bianca Berlinguer e Lucia Annunziata hanno dato delle proprie scelte professionali. Una rappresentazione coerente con la narrazione e gli interessi della parte politica cui i tre fanno riferimento. Così anche il conflitto tra la presidente Marinella Soldi e l’amministratore delegato Roberto Sergio sulla chiusura della trasmissione di Roberto Saviano. Un conflitto che sembra rispondere all’esigenza di assecondare gli umori e la linea politica dei partiti cui debbono la propria nomina piuttosto che al legittimo confronto tra diverse visioni strategiche della tv di Stato. È stato sempre così, e poiché non è, purtroppo, realistico pensare che la Rai partitocratica venga ridotta ad un solo canale dedicato esclusivamente, e realmente, al servizio pubblico, è ragionevole immaginare che così sempre sarà.

Quanto alla vicenda Saviano, se la si giudicasse su base pragmatica anziché ideologica apparirebbe piuttosto chiaro che chiudere la sua trasmissione è stato un errore. Un errore dal punto di vista aziendale e fors’anche dal punto di vista politico, dal momento che si è con ciò autorizzato Saviano a vestire i panni del “martire”, le opposizioni e gridare alla censura politica e qualche giornale straniero (ma qui siamo al grottesco) alla coercizione semi fascista della libertà d’opinione quando non addirittura di una scelta deliberata per favorire le mafie.

Chi scrive non ha alcuna simpatia per l’autore di Gomorra e quasi mai è d’accordo con il merito e con la forma delle sue uscite più “politiche”. Ma ciò non toglie che Roberto Saviano sia uno dei massimi esperti italiani di criminalità organizzata, che viva una vita sotto scorta e che le notti le passi in una caserma dei carabinieri. Ebbene, per la Rai Saviano non ha condotto un talk show né ha svolto il ruolo dell’opinionista tuttologo. Ha registrato quattro puntate di un programma che si chiama Insider interamente dedicate alla materia che meglio conosce: la criminalità organizzata. La prima puntata è già andata in onda, bloccare le seguenti tre significa creare un danno alla Rai e dare argomenti polemici agli avversari politici. La Dc, che durante la Prima Repubblica ha governato la Rai assecondandone i vizi in quanto vizi nazionali ma alimentandone la virtù, non l’avrebbe mai fatto.

La Dc non avrebbe mai stoppato Saviano. Il corsivo di Cangini

La decisione di bloccare il programma Rai di Saviano è controproducente per diverse ragioni, a partire dal fatto che si danno argomenti all’opposizione e si dà all’autore di Gomorra la possibilità di vestire i panni del martire

La strategia spaziale per sicurezza e difesa che serve all'Ue. L'analisi di Mensi

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