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Il poeta Davide Rondoni resta in fondo alla sala. Sembra un personaggio di un romanzo di Tolkien. Il lungo beccuccio della pipa rimanda alla figura iconica di Gandalf. Perfettamente in linea col contesto. Gli “Stati generali della cultura nazionale”, l’iniziativa che il think tank Nazione Futura ha organizzato all’hotel Quirinale, appare come un tentativo di gettare un seme. E individuare quello che può fare e su quello che ha già fatto la cultura di destra.

Sì, perché c’è una cultura di destra. Ma non bisogna fare l’errore di “contrapporre un’egemonia culturale a un’altra egemonia culturale”. Il deputato di FdI Federico Mollicone, che presiede la commissione Cultura alla Camera è “on fire”. Pardon, non ci facciamo sentire troppo dal vicepresidente della Camera Fabio Rampelli che ha appena difeso strenuamente l’utilizzo della lingua italiana. Ora è seduto qualche fila indietro rispetto al palco. Mollicone riprende diversi spunti del discorso del ministro Gennaro Sangiuliano e rivendica la rapidità con cui sono stati assunti certi provvedimenti. Identitari, chiaramente. Uno su tutti: l’aumento del plafond di risorse per le rievocazioni storiche. Nel nome di Maccari.

Gli ospiti nei panel citano autori dell’alveo conservatore, anche se più volte risuona il nome di Antonio Gramsci. C’è spazio anche per Ezra Pound. C’è spazio per tutti, in realtà. Perché “noi siamo per il pluralismo”, scandisce Mollicone. E la mole di contributi che è stata offerta ieri nel corso del convegno è stata senz’altro orientata in questa direzione, pur nel comune sedime.

Non potevano mancare lo scrittore Marcello Veneziani, Fabrizio Tatarella, Pietrangelo Buttafuoco e Giuseppe Parlato (fondazione Spirito De Felice). Il presidente del Maxxi, Alessandro Giuli dopo il suo intervento (durante il quale ha ricordato tra le altre cose il terremoto dell’Aquila e l’impegno alla ricostruzione, anche culturale), estrae dalla tasca un pregiato porta sigarette. Conservatorissimo. Il suo è un contributo di alto profilo (non potrebbe essere altrimenti essendo lui “la persone più erudita e sapiente che io conosco”, come disse Pietrangelo Buttafuoco a Formiche.net). La conclusione è che “fare cultura è fare politica”. O viceversa.

Il “regista” di tutta la giornata è Francesco Giubilei. Il giovane editore, consigliere del ministro Sangiuliano, si aggira in sala. Interviene, controlla il banchetto dei libri. Stringe mani, distribuisce biglietti da visita. Accoglie gli ospiti più illustri. “L’identità nazionale rischia di perdersi – scandisce Giubilei – La cancel culture è un’insidia. Dal ’68 in avanti si è affermata l’egemonia culturale del progressismo, per cui occorre salvaguardare questo grande patrimonio di idee e valori che è addirittura antecedente all’Unità d’Italia”. E dunque l’obiettivo dell’evento è quello di “riunire una serie di personalità, accomunate da un’orizzonte valoriale. Da qui, parte un percorso che, tuttavia, non avrà come obiettivo quello di imporre una nuova egemonia”.

La frase resta sospesa ma sembra intrecciare quel “pensiero lungo” di cui ha parlato nel suo discorso il filosofo Stefano Zecchi secondo cui “è giunto il momento per il centrodestra di organizzare una visione sociale che passi per la cultura”. Pensare in grande, guardare lontano, ma partendo dalle piccole cose, dalle dimensioni ridotte. Quando Luigi Mascheroni (il Giornale) gli dà la parola, Camillo Langone (giornalista e scrittore) premette di essere “un provinciale”. In realtà è l’occasione per tornare a parlare dei borghi, dell’identità, delle radici.  Lui che proprio tra i borghi si aggira. Su e giù per l’Italia. “Un po’ come fa Vittorio Sgarbi”, gli replica Mascheroni. “Sì, ma lui ha l’autista”, la replica.

Il penultimo panel è dedicato alle “linee programmatiche per una cultura nazionale”. Oltre a Giubilei e ad Emanuele Merlino (capo segreteria tecnica del ministero della Cultura), interviene il co-regista dell’evento: il deputato Alessandro Amorese. Anche lui è convinto che ci sia “un grande fermento nella cultura nazionale”. Un fermento messo in rete proprio all’hotel Quirinale e che, pur nello spirito dei conservatori, guarda al futuro.

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