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Gli esperti dell’Atlantic Council, uno dei think tank più importanti a Washington, preferiscono usare la parola ribellione, e non golpe, per definire quando accaduto nelle scorse ore in Russia: i mercenari Wagner di Yevgeny Prigozhin che hanno avviato una marcia verso Mosca, poi fermata con la mediazione del presidente bielorusso Alexander Lukashenko.

L’ACCORDO

Prigozhin ha ordinato alle sue truppe di tornare in Ucraina, dove hanno combattuto a fianco dei soldati regolari russi; lui riparerà nella vicina Bielorussia, che ha sostenuto l’invasione russa dell’Ucraina; le accuse contro di lui di aver organizzato una rivolta armata saranno ritirate; la Russia non perseguirà i combattenti Wagner che hanno partecipato; a coloro che non hanno aderito saranno offerti contratti dal ministero della Difesa. Con questo accordo, il leader russo Vladimir Putin, che aveva giurato di punire i responsabili della rivolta armata definita un “tradimento”, ha voluto perseguire un “più alto obiettivo”, ha spiegato Dmitry Peskov, portavoce del Cremlino: “Evitare spargimenti di sangue e scontri interni dagli esiti imprevedibili”.

L’ANALISI DELLA RIVOLTA

Secondo Brian Whitmore, nonresident senior fellow dell’Eurasia Center all’Atlantic Council, bisogna analizzare la rivolta di Prigozhin in cinque dimensioni. Prima: indipendentemente da quanto accaduto di ieri, Putin è in “posizione molto precaria” alla luce di una divisione netta nell’élite russa tra i falchi, “che non vogliono altro che la conquista di Kyiv”, e i cleptocrati, “che vogliono tornare al mondo precedente al 24 febbraio 2022”. Ma nessuna di queste cose accadrà, quindi nessuno è contento. Seconda: il sistema russo basato su reti informali di patronato, come il ricorso ai mercenari, funziona soltanto se Putin è forte. Terza: i possibili alleati di Prigozhin sembrano abbandonarlo ma “anche se la crisi immediata si risolve, la sua causa di fondo continuerà a indebolire il regime”. Quarta: se Prigozhin non pagherà a caro prezzo la sua ribellione, metterà in serio pericolo il regime di Putin, “perché il cambiamento politico arriva in Russia quando sono presenti tre fattori: un’élite divisa (c’è), un’opinione pubblica insoddisfatta (c’è) e l’assenza di paura (i carri armati che marciavano verso Mosca suggeriscono che potrebbe esserci anche questa). Quinta: “questa crisi minerà ulteriormente le capacità belliche della Russia in Ucraina proprio mentre Kyiv sta intensificando la sua controffensiva”, anche perché l’élite russa “non si sta comportando come se si aspettasse di vincere questa guerra”.

IL COMMENTO DI WECHSLER

Putin ne esce indebolito, spiega William F. Weschler, direttore del Rafik Hariri Center e dei programmi per il Medio Oriente dell’Atlantic Council, già vice-segretario alla Difesa degli Stati Uniti per le operazioni speciali e la lotta al terrorismo. Due le ragioni: la ribellione stessa e il fatto che sia stata risolta “soltanto attraverso un compromesso negoziato piuttosto che con una dimostrazione pubblica di forza”. Wechsler risponde a coloro che continuano “ostinatamente” a sperare in una risoluzione negoziata della guerra di Putin in Ucraina: “continueranno a rimanere delusi”, dice. “L’esercito, storicamente l’istituzione più stimata dal popolo russo, è stato umiliato ancora una volta sotto Putin e ha dimostrato di essere corrotto, inefficace e guidato da lacchè. Come è accaduto dopo la mancata conquista di Kyiv l’anno scorso, l’obiettivo principale di Putin deve essere quello di assicurarsi la posizione, e quindi la sopravvivenza, presso quel piccolo numero di russi che contano, con dimostrazioni di forza”.

E LA CONTROFFENSIVA UCRAINA?

Con il controllo da parte del gruppo Wagner di Rostov-sul-Don, dove ha sede uno dei quartier generali russi delle operazioni in Ucraina, il comando e controllo di Mosca potrebbe risentirne. E ciò “potrebbe aumentare la possibilità di una svolta ucraina sul campo di battaglia”. Lo sostiene Jacob Meze, program assistant allo Scowcroft Center for Strategy and Security dell’Atlantic Council. Oltre alla difficoltà nella catena di comando, ci sono i blocchi stradali istituiti dal governo russo, e persino i danni deliberati all’autostrada M4, progettati per contenere il gruppo Wagner: “limiteranno anche la capacità dell’esercito russo di spostare forze e rifornimenti tra i fronti in Ucraina”. Per non parlare di quelle unità russe che non si sarebbero opposte alla marcia: potrebbero ridurre la fiducia di Mosca nella lealtà delle sue forze e dei suoi ufficiali.

LE CONSEGUENZE IN AFRICA

Mali, Repubblica Centrafricana, Libia e Sudan. Qui ci sono mercenari Wagner. “Mentre finora gli interessi del governo russo e del gruppo Wagner erano allineati, ora questi Paesi dovranno fare affari con due attori russi con interessi rivali” e ciò li metter in “una posizione scomoda”. Lo spiega Rama Yade, che dirige l’Africa Center dell’Atlantic Council, evidenzia diversi aspetti della presenza Wagner in Africa, dalla difesa dei governi nati da colpi di Stato militari (anche dal jihadismo) fino alle materie prime e al grano. Ma l’impatto più visibile di Wagner in Africa “è in realtà sul fronte dell’informazione”: Prigozhin “ha usato la Repubblica Centrafricana e il Mali per promuovere il sentimento anti-occidentale, guadagnare simpatia per Putin e alimentare la sua propaganda attraverso Ria Fan, la nave ammiraglia del Patriot Media Group di Prigozhin. Senza questo potente strumento, non sono sicura che l’influenza russa rimarrà forte in questi Paesi”.

LA CINA PIÙ ISOLATA?

Per la Cina di Xi Jinping le turbolenze interne russe e gli inciampi di fronte al successo della resistenza militare ucraina sostenuta dall’Occidente e alle sanzioni possono significare “un maggiore isolamento”, sostiene John K. Culver, ex Cia, oggi senior fellow del Global China Hub dell’Atlantic Council. “Un’opzione pragmatica sarebbe quella di ridurre le tensioni con gli Stati Uniti e l’Europa, ma Xi ha dimostrato di essere più ideologico dei suoi recenti predecessori”, scrive. “La perdita del principale partner strategico della Cina”, cioè la Russia, “è più probabile che approfondisca la sfiducia strategica nei confronti degli Stati Uniti piuttosto che un maggiore avvicinamento diplomatico o economico”. “Prigozhin è il diavolo che Pechino non conosce”, scrive invece Joseph Webster, anche lui del Global China Hub. L’esperto sostiene che la leadership cinese “probabilmente osserverà gli eventi, piuttosto che tentare di plasmarli”. Troppi i rischi se dovesse prendere posizione aiutando Putin (magari condividendo intelligence, e dunque ammettendo di spiare la Russia e creando base per eventuali tensioni con Prigozhin, che ha, e l’ha dimostrato nelle ultime ore, ottimi rapporti con il Gru).

Le conseguenze della rivolta Wagner per Putin, Prigozhin, Ucraina, Cina e Africa

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