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La visita di Charles Michel a Palazzo Chigi di oggi, l’endorsement dell’Economist, il viaggio del premier a Stoccolma pochi giorni dopo e le rinnovate interlocuzioni con Parigi e Berlino, “compongono” il puzzle europeo del governo italiano e di Giorgia Meloni e indicano plasticamente i dossier sull’asse Roma-Commissione Ue.

Sullo sfondo, il vertice straordinario del 9 febbraio a Bruxelles e la consapevolezza che la semina (non solo) in vista delle elezioni europee del prossimo anno prevede una serie di tappe e di intrecci.

Al di là delle questioni ancora aperte sul tema migranti (in cui però la sortita di Ursula von der Leyen rappresenta un fatto nuovo da salutare con interesse per le tesi italiane) e delle potenziali criticità che possono esserci, ad esempio, sui tempi del Pnrr, complessivamente l’approccio atlantista del governo ha suscitato interesse e considerazione. Il sesto pacchetto di aiuti all’Ucraina (con Italia e Francia vicine alla definizione dei dettagli tecnici per la fornitura del sistema di difesa aerea Samp-T) è un fatto oggettivo, che si interseca con lo sblocco di Berlino sui carri, condito dalla call con Biden, Scholz, Macron, Sunak nel gruppo informale Quint che amministra le attività tra Onu, Nato, G7, Ocse.

Temi (e azioni) prima delle urne, a dimostrazione della volontà di tessere una tela e di coadiuvare le stesse istituzioni Ue a farsi interpreti più attive di istanze e bisogni, come la questione sul tetto al prezzo del gas, come l’esigenza di tuffarsi nel gas mediterraneo tramite nuovi progetti (EastMed), come la capacità di provare a dettare uno spartito. Il viaggio in Libia ha consegnato quattro obiettivi: piano Mattei per l’Africa tarato su sviluppo e crescita reciproci (senza alcun atteggiamento predatorio), stabilizzazione istituzionale della Libia, Italia hub energetico dell’Europa (accordi Eni con Tripoli e Algeri), controllo dei flussi migratori irregolari (per la prima volta la rotta del Mediterraneo centrale è nelle priorità della Commissione europea).

Un percorso sul quale non pochi sono e saranno gli ostacoli: si pensi alla riluttanza dei Paesi cosiddetti frugali a (solo) immaginare strategie comuni di stampo sociale, rispetto al dogma-Schaeuble; o alla costante invasività dei player esterni sul costone balcanico, altro grande tema legato alle nuove iniziative italiane, passando per il delicato tema della transizione energetica legato tra le altre cose al cappio cinese su taluni settori strategici come infrastrutture, logistica (Amburgo, Pireo, Trieste) e batterie.

Il tutto mentre si celebra il 60° anniversario del Trattato dell’Eliseo, con le relazioni franco-tedesche che stanno affrontando una fase nuova e diversa dall’ultimo quindicennio targato Merkel, a cui sommare il nodo tra Parigi e Berlino su cosa fare alla voce idrogeno. A maggior ragione in un contesto del genere, una iniziativa politica che tenda a lavorare per costruire un nuovo equilibrio in Ue può avere senso e portare ad una dimensione diversa.

E qui si inserisce il ragionamento sulle urne del maggio 2024, con la tela Ecr-Ppe, passaggio sul quale si è espresso apertamente Manfred Weber quando ha osservato, in occasione di un’intervista al gruppo editoriale Funke, che le grandi questioni verranno risolte “assieme all’Italia”. Il secondo tempo delle analisi fatte ad Atene in occasione del meeting dello scorso dicembre. 

Quasi a dare un indirizzo specifico, e ormai non più in discussione, rispetto alle previsioni nefaste che, fino allo scorso settembre, hanno accompagnato la nascita del nuovo governo, quando molte erano le voci sui rischi per la democrazia, sul debito pubblico italiano che sarebbe divenuto ancora più insostenibile, su una legge di bilancio che avrebbe sfondato i parametri della ragionevolezza. Nulla di tutto questo è accaduto.

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