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Sono giorni di fuoco nel settore delle supply chain più strategiche per la doppia transizione, digitale ed ecologica. Martedì, parlando all’incontro virtuale della Security Cooperation Organisation, il presidente cinese Xi Jinping ha esortato le nazioni a rigettare la logica del de-risking. Parole che cozzano con le nuovissime restrizioni alle esportazioni appena approvate da Pechino, le quali, a loro volta, evidenziano come il fronte commerciale tra Cina e Paesi occidentali stia diventando incandescente – e stia contagiando sempre più anche quello diplomatico.

La Cina, ha spiegato Xi, invita tutti a “respingere la creazione di barriere, il disaccoppiamento e i tagli alle catene di fornitura” al fine di “rendere più grande la torta della cooperazione win-win e garantire che i guadagni dello sviluppo siano condivisi in modo più equo dalle persone in tutto il mondo”. Sono parole rivolte ai partner Sco ma anche ai Paesi occidentali, impegnati a trovare alternative allo strapotere cinese su certe filiere (per non offrire il fianco a un ricatto simile a quello con cui Vladimir Putin ha tentato di piegare l’Europa interrompendo le esportazioni di gas).

Assieme alla carota, Pechino ha indicato anche il bastone. Nelle stesse ore in cui Xi professava la necessità di rinsaldare le catene di valore esistenti, e il suo ministro del Commercio Wang Wentao spiegava a Tokyo il valore della loro stabilità, l’influente ex viceministro del Commercio cinese Wei Jianguo avvertiva che le nuove misure cinesi di export control – che interessano gallio e germanio, due metalli essenziali per semiconduttori e tecnologie verdi – sono “solo l’inizio”. Se gli Stati Uniti imporranno ulteriori restrizioni tecnologiche, la Cina ribatterà con altre restrizioni, ha detto.

La posizione sempre più assertiva di Pechino fa seguito a una serie di strette da parte dei Paesi occidentali. Washington, che aveva già imposto limiti molto rigidi alle esportazioni di semiconduttori e relativi equipaggiamenti verso la Cina, sta pensando a misure ulteriori nei settori dell’intelligenza artificiale e del cloud computing. Pochi giorni fa Amsterdam ha espanso le restrizioni alle esportazioni di macchinari avanzati per fabbricare chip, e anche Tokyo (altro collo di bottiglia cruciale lungo la supply chain) è allineata.

I segnali di natura politica stanno accompagnando l’indurimento commerciale di Pechino. Finora ci era andata di mezzo solo la statunitense Micron, sradicata dalle infrastrutture nazionali cinesi per ripicca alle restrizioni Usa sui chip. Ma dopo la stretta olandese e la presentazione della nuova strategia europea di de-risking, anche il Vecchio continente sta subendo l’ira del Dragone. Sia gallio e germanio sono di importanza critica per la doppia transizione europea. E martedì le autorità cinesi hanno annullato la visita dell’Alto rappresentante dell’Unione europea per la politica estera, Josep Borrell, dando meno di una settimana di preavviso.

Nel mentre, la linea d’attacco di Pechino (spingere sui legami economici ed escluderli dalle valutazioni strategiche) continua a trovare terreno fertile nella Germania di Olaf Scholz, Paese che rimane estremamente esposto verso la Cina e molto restio nei confronti di qualsiasi strategia che possa provocare ricadute commerciali. Secondo il cancelliere tedesco, il de-risking dovrebbe essere materia di competenza del settore privato e non dello Stato. Un ragionamento che riecheggia le scuse con cui le autorità tedesche difendevano la ratio dietro al gasdotto Nord Stream 2.

Non è un caso che ci fosse la Germania dietro all’annacquamento della posizione del Consiglio europeo sulla Cina. Già a fine maggio, in barba alle decisioni del G7 di Hiroshima, Scholz sosteneva che si dovessero mantenere (e anzi rafforzare) le supply chain cinesi. Incalzato da Politico, lunedì il cancelliere ha ribadito che le aziende, pur dovendo “assicurarsi di costruire una seconda o terza catena di approvvigionamento che includa altri Paesi”, non devono temere l’intervento dello Stato sulle decisioni commerciali. Anche se, come rileva il quotidiano, Berlino già sovvenziona le aziende strategiche. Peraltro più di qualsiasi altro Paese Ue. E anche la seconda classificata, la Francia, non disdegna di approfondire i rapporti economici con la Cina nella ricerca dell’“autonomia strategica” europea.

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