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Nel bel mezzo della tempesta, con la guerra dei chip che ha raggiunto nuove (ma non inaspettate) vette con la decisione del governo di Pechino di imporre una serie di restrizioni e licenze per l’esportazione di gallio e germanio (due metalli critici cruciali per la fabbricazione di semiconduttori e circuiti integrati), l’Europa batte un colpo nella strategia complessa di de-risking dalla Cina.

Nella giornata di ieri, il primo ministro tedesco, Olaf Scholz, ha ricordato quanto in questo sforzo titanico una grande responsabilità gravi sulle aziende, più che sui governi nazionali. Seppur si tratti di una mezza verità – i governi, come dimostra il caso statunitense, possono creare il contesto normativo e fiscale per promuovere investimenti lungo le supply chain più critiche ed esposte alla dipendenza dalla Cina – molto spesso le condizioni per operare a livello commerciale sono molto più complesse di quanto si immagini.

È il caso, per esempio, dell’industria delle terre rare (REE), elementi essenziali per le tecnologie rinnovabili (EV e turbine eoliche), per la microelettronica, per l’industria robotica e per alcuni sistemi d’armamento militari. Attualmente la Cina domina gran parte dell’estrazione (circa il 58%) dei concentrati di terre rare, seguita da Stati Uniti, Australia e Myanmar. È inoltre il Paese con più riserve, circa 44 milioni di tonnellate di REO (ossidi), ovvero il doppio di Vietnam, Russia e Brasile secondo i dati USGS. Tuttavia, gran parte di questi materiali vengono inviati in Cina per un ulteriore fase di lavorazione e raffinazione, molto costosa e inquinante. Qui, vengono separati gli ossidi di terre rare (89%) come neodimio, praseodimio (LREE) e disprosio, terbio (HREE) e in seguito raffinati (90% circa delle operazioni per ottenere metalli e leghe) per poter essere poi impiegati per la produzione del 92% dei magneti di terre rare (NdFeB) aggiungendo queste preziosi elementi ad una lega di ferro e boro, in un processo metallurgico molto complesso. Di recente, la Cina ha inserito le tecnologie per la fabbricazione di queste leghe in una lista di prodotti vietati per l’export.

Giusto per dare alcuni dati prospettici. Secondo le statistiche ufficiali, l’Unione europea sarebbe dipendente dalla Cina tra il 98% e il 100% per le forniture di terre rare (a seconda di quali elementi si considera, se le terre rare “leggere” o quelle “pesanti”). Uno sguardo più approfondito, in realtà, ci racconta molto di più: l’Europa importa dalla Cina grandi quantità di cerio e lantanio, due tra gli elementi di terre rare più abbondanti a livello geoologico, e in sovraofferta per dinamiche specifiche di questo mercato. Tuttavia, nel solo 2021 sono stati importati in Ue circa 16.000 tonnellate di magneti permanenti (circa il 36% delle esportazioni cinesi): una cifra che ci racconta dove risieda, davvero, la dipendenza. Secondo l’European Raw Materials Alliance (ERMA), il blocco dovrebbe puntare a produrre internamente circa 7.000 t di NdFeB entro il 2030 per coprire almeno il 30% dei consumi. Anche gli Usa si sono mossi per aumentare l’offerta domestica, con il coinvolgimento di partner giapponesi e australiani.

Ed è qui che si inserisce l’annuncio di Neo Performance Materials. NEO è un’azienda canadese, quotata alla Toronto Stock Exchange, che produce e vende materiali compositi di terre rare, principalmente leghe e metalli e materiali magnetici con clienti in diversi settori (tra cui, i sistemi di comunicazione e satellitarli, l’elettronica di consumo e ICT, l’aerospazio e le le tecnologie pulite). Opera su tre continenti, con impianti produttivi, centri a supporto dei clienti e controllate in Giappone, Cina, Thailandia, Estonia, Singapore, Germania, Regno Unito, Canada, Usa e Corea del Sud. Sono tre, invece, i segmenti produttivi del suo business: Magnequench (circa 42% delle entrate), Chemicals and Oxides (36%), e Rare Metals (22%), tra cui tantalio, niobio, afnio, renio, indio e soprattutto gallio. Nel 2022 ha chiuso con circa 609 milioni di fatturato, con una crescita del 18.7% rispetto all’anno precedente, e una buona diversificazione del portfolio principalmente tra Europa, Cina e Stati Uniti (insieme, quasi due terzi del fatturato).

Nella giornata di martedì, la divisione canadese dell’azienda, Neo Magnequench, ha annunciato di aver iniziato la costruzione di un impianto di produzione di magneti di terre rare a Narva, in Estonia, il primo sito in Europa e probabilmente il primo passo per sviluppare un’offerta regionale, riducendo come detto la dipendenza dalla Cina. A novembre 2022, l’azienda aveva annunciato che nell’ottica di questo investimento avrebbe beneficiato di quasi 19 milioni di euro di aiuti dal governo dell’Estonia, tramite il Just Transition Fund e il benestare della Commissione europea.

La prima fase della costruzione potrà concludersi entro il 2025, con una capacità produttiva prevista di 2.000 tonnellate all’anno di magneti di terre rare sinterizzati (i più utilizzati sul mercato, più performanti di quelli bounded che sono realizzati con una tecnica differente) e che potrà essere aumentata fino a 5.000, a seconda degli scenari di domanda dai consumatori (quasi un terzo delle importazioni UE dalla Cina nel solo 2021). Il chief executive, Rahim Suleman, ha dichiarato che l’impianto produrrà magneti specificatamente per OEM (original equipment manufacturers) tedeschi, francesi e altri clienti europei e partner commerciali di classe Tier 1. Dunque, principalmente dal settore automotive.

L’annuncio consolida ulteriormente il profilo strategico dell’azienda, ad oggi l’unica al mondo che opera una doppia supply chain all’interno e all’esterno della Cina per la separazione di terre rare e la produzione di materiali avanzati. Neo, inoltre, è proprietaria dell’unico sito di separazione attivo in Europa, a Silment, poco più ad ovest dove sorgerà l’impianto a Narva. “I magneti di terre rare che verranno prodotti qui sono indispensabili per la crescita e l’innovazione in settori come la mobilità elettrica, l’energia eolica e la microelettronica” aveva commentato Ursula von der Leyen.

L’integrazione verticale – dalla miniera fino ai magneti – resta una delle poche alternative per le aziende abbastanza solide, come NEO, per rimanere e competere sul mercato di fronte allo strapotere commerciale delle rivali cinesi. Infatti, un altro importante step per isolare ulteriormente le forniture dalle turbolenze geopolitiche rimane quello di puntare ai giacimenti europei. In questa direzione, NEO sta pianificando di investire in un deposito in Groenlandia, a Safartoq, a 60 km dalla località portuale di Kangerlussuaq. Il deposito, per il quale Neo ha acquisito una licenza da Hudson Resources Inc nell’agosto del 2022, presenterebbe una buona ratio di neodimo e praseodimio (NdPr), due elementi essenziali per la fabbricazione dei magneti, oltre ad essere nelle vicinanze di una potenziale fonte di energia idroelettrica che potrebbe risultare fondamentale per ridurre l’impatto ambientale dell’estrazione.

Non solo. A giugno, Neo ha avviato le negoziazioni con Hastings Technology Metals, junior miner australiano che punta a sviluppare il progetto di Yangibana per l’estrazione di terre rare, diventando così il secondo produttore dopo Lynas Corporation. Un offtake agreement tra Neo e Hastings consentirebbe alla prima di assicurarsi circa 25.000 tonnellate all’anno di concentrati di terre rare, oltre a costruire in loco un impianto di separazione idrometallurgico, per spedire a Neo circa il 66% della produzione totale di terre rare. La partnership prevede una copertura del 20% dell’azienda canadese sull’investimento dell’australiana. Oltre ai feedstock dall’Australia, nel 2021 Neo si era assicurato un contratto anche dall’americana Energy Fuels, con la fornitura di carbonato di terre rare prodotto dai minerali di monazite e spedito nell’impianto di separazione a Silmae. Si trattava di un accordo importante, essendo il primo vero passo per una supply chain transatlantica di terre rare.

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