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“Credere in ciò che siamo è la benzina più potente che possiamo mettere nel motore della Nazione, è il carburante di cui abbiamo bisogno per tracciare nuove rotte e tornare protagonisti in Italia e nel mondo”. Il presidente del Consiglio, Giorgia Meloni voleva esserci. E attraverso il suo videomessaggio ha testimoniato ancora una volta il significato che per lei e per il governo di cui è a capo assume il concetto di patria e quello di nazione.

L’occasione è il convegno organizzato dal presidente della commissione Biblioteca e archivio storico del Senato, Marcello Pera “Nazione e patria. Idee ritrovate”, questa mattina alla sala capitolare del convento di Santa Maria sopra Minerva del Senato. “Non è un fatto scontato che oggi, nella sede della Biblioteca del Senato, si discuta di Nazione e Patria – dice il premier Meloni – . Non è irrilevante che oggi queste idee siano diventate centrali nel dibattito politico, in quello storico, filosofico, giuridico e siano uscite da una marginalità nella quale per decenni erano state relegate. Perché ovviamente considerate, a torto, idee retrograde, reazionarie, obsolete, se non addirittura pericolose a tratti. Io invece ho sempre pensato che tanto la Nazione quanto la Patria fossero società naturali, cioè qualcosa che è naturalmente nel cuore degli uomini e dei popoli e prescinde da ogni convenzione”.

L’auspicio del premier è quello di “ vivere in un’Italia nella quale, pur nelle differenze, tutti possano definirsi e agire da patrioti, ovvero da persone che antepongono l’interesse della Nazione all’interesse di parte o di partito”.  Patria e Nazione sono concetti, per lo più bistrattati e travisati dal dibattito pubblico, che tuttavia rappresentano gli architravi del pensiero conservatore come ribadisce il presidente Pera a più riprese.

In un certo senso il fatto che questi due temi siano tornati così centrali nel dibattito non è certamente casuale. Anzi, nell’interpretazione che ne dà Pera, è una forma di reazione “all’ebbrezza della globalizzazione”. Qui il ricorso alla metafora del mare aperto è funzionale a rendere l’idea dello sgomento di molti. “Dopo decenni di liberalismo radicale e globalizzazione – spiega il presidente della commissione Biblioteca – l’uomo si è trovato nel mare aperto e si è ‘ritirato’ all’interno della Nazione”.

Questo ritorno alla nazione, tuttavia, non collide con il concetto più ampio di Europa – “e della sua costruzione che dura da decenni, anche in termini di stato di diritto” – ma anzi ne è una componente fondamentale. E “l’operazione di riscoperta dei concetti autentici di Nazione e Patria a opera in particolare dei conservatori, è meritoria” . Si inserisce, peraltro, nel respiro più ampio della “difesa delle tradizioni”. Termine, chiude Pera, “aborrito dalla globalizzazione, ma che in realtà è tanto antico quanto nobile”.

Ci sono diverse motivazioni di carattere storico e politico per lo più che hanno reso così problematici – a torto – i concetti di Patria e Nazione nel nostro Paese. Si sono susseguiti, nei decenni, errori, travisamenti e interpretazioni fuorvianti frutto del furore ideologico portato in dote dai movimenti di protesta dal 1968 in avanti. Sebbene, il concetto di nazione, sia stato “condannato” per colpa dei totalitarismi de Novecento che hanno deformato l’accezione romantica dal sapore unitario richiamata a più ripresa dai relatori del convegno.

Anche il ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano, intervenuto a sorpresa (tra il pubblico anche il ministro per i Rapporti col Parlamento, Luca Ciriani), ha citato, tra gli altri, Giuseppe Mazzini e Federico Chabod. La conclusione cui giunge l’esponente del governo si inserisce nella famosa rotta di cui ha parlato anche il premier Meloni. “Va riconosciuto – dice Sangiuliano – il valore storico della nazione, della sua storia universale. Affermare oggi la validità ontologica della nazione non significa mettersi contro l’idea di collaborare in Europa, con le organizzazione internazionale. Anzi, più si è saldo nella consapevolezza dei valori nazionali, più è proficua la collaborazione internazionale”.

Il dramma del fascismo

Ciò che più di tutto ha fatto in modo che su nazione e patria sia stata esercitata una forma di damnatio memoriae è stato il Fascismo. Questa è la tesi esplicitata nella relazione dello storico Francesco Perfetti, poi ripresa anche dai docenti Giovanni Orsina e Alessandro Campi. Per la verità il contributo di Perfetti è un vero e proprio excursus storico che parte delle origini del concetto di nazione. Un concetto, dice lo storico, che “è moderno” e si sviluppa in Europa – nelle sue declinazioni – “come una risposta romantica alle tendenze razionalistiche dell’Illuminismo”. Venendo al “secolo breve”, lo storico spiega a chiare lettere che da parte del regime guidato da Benito Mussolini è stata perpetrata una “corruzione del concetto di nazione”, che l’ha portata nel dopoguerra a “scomparire dal lessico politico e pubblico”. In una sorta di “processo alla Nazione” frutto, appunto, di una “demonizzazione che ha riguardato anche il concetto di patria”. In realtà, conclude Perfetti, “c’è una linea che va tracciata, per un futuro migliore, che comprende le giuste accezioni di patria, nazione ed Europa. Ed è su questa linea che occorre lavorare”.

Il fallimento di un modello 

E se il ritorno nel dibattito di nazione e patria fosse strettamente legato al ritorno del ruolo della politica nelle democrazie liberali? Questa è la tesi sulla quale si incardina la relazione di Giovanni Orsina, direttore della School of government della Luiss. “La mia impressione – così Orsina – è che il ritorno della Nazione nel dibattito sia in qualche misura figlio del fatto che la politica, nelle liberal-democrazie, abbia perso la sua forza propulsiva”. Dopo il 1945, si è costruito un equilibrio – all’interno delle democrazie liberali – fra dinamiche nazionali e sovra nazionali. Poi, l’equilibrio si è rotto. L’ondata delle contestazioni è stata deflagrante per il concetto di nazione. “Si era diffusa l’idea – prosegue Orsina – che il fascismo fosse una malattia morale che scaturisse dal concetto di nazione e dal nazionalismo”. Ma il punto è che il portato degli anni’60 è “fortemente universalistica”.

Ci sono, tuttavia, degli elementi di forza del concetto di nazione che sono resistiti anche dopo la crisi post bellica e dopo “il trauma dell’8 settembre”. Eppure patria e nazione subiscono una compressione che deriva anche dal Federalismo europeo che costituisce un “limite naturale al peso degli stati nazionali”.

Il liberalismo radicale, la dimensione geopolitica, economica e culturale. Quella di Orsina è una panoramica storico-politica che porta a una conclusione: “Il modello impostato sulla politica globale non ha funzionato”. Anche perché, conclude il politologo, “per arrivare a ricostruire la polis, devi prima ricostruire la nazione”. E dunque la sfida dei tempi moderni deve essere quella di “restituire forza alla politica per riequilibrare le liberaldemocrazie”.

I concetti nella storia

Per Alessandro Campi, docente dell’Università di Perugia, essere nazionalisti oggi rappresenta una “scelta razionale” che ha “un senso pragmatico”. Tuttavia, i concetti di nazione e patria “sono da riformulare, in funzione dell’evoluzione della storia”. Non avrebbe senso “applicare la formulazione classica di patria e nazione nel contesto contemporaneo”. D’altra parte il nazionalismo “non è mai scomparso del tutto dalla scena pubblica, si è solo inabissato”. Un fenomeno carsico che riemerge e che resiste perché è dotato “di una grande resilienza”.

Ma, in fondo, ragiona Campi, “non ha più senso ragionare distinguendo il concetto di patria da quello di nazione. Sono, infatti, inevitabilmente due facce della stessa medaglia”. Non sono più immaginabili distinzioni tra le due componenti perché, chiude il politologo, “negli anni si è creata una fortissima saldatura”. Irreversibile. Ed ecco che, forse è davvero questo, il punto di sintesi.

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