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Una “cattedra dell’accoglienza” può rappresentare quasi un ossimoro: l’accoglienza è operatività, concretezza, dono del proprio tempo e risorse, lavoro, emergenze in terra e in mare e cosi via. Eppure anche l’accoglienza ha bisogno di un “pensiero”, di qualcuno che ci insegni cos’è, quali le sue radici culturali, siano esse religiose o laiche; che spieghi il perché alcuni popoli e gruppi siano più accoglienti e altri meno, lo stesso dicasi per le compagini sociali e politiche. Una cattedra dell’accoglienza si è appena conclusa alla Fraterna Domus di Sacrofano (Rm; 6-10 marzo), con diversi relatori (Pietro Parolin, V. Buonomo, R. D’Ambrosio, M. Faggioni, P. Naso, B. Carucci Viterbi, M. Perrone, N. Kebour, A. Carfora, S. Defraia, G. Perego) e realtà impegnate nell’accoglienza (Comunità Giovanni XXIII, Centro Astalli, Fondazione S. Vito, Cercasi un fine, Caritas, Auxilium, Azione Cattolica, Acli, Cism, Ist. Tevere, Opera mons. Di Leo, Ist. I Discepoli,  Misericordie, Religiosi e Religiose, docenti di religione, Cammino di Santiago).

Le radici dell’accoglienza sono antiche quanto il mondo. Eppure essa oggi è, nel nostro Paese come in diverse parti del mondo, abbastanza in crisi. Il dato numerico indica che le emergenze crescono (migranti, rifugiati, poveri, disagiati, disabili) e cresce anche il numero dei volontari (pochi i giovani, purtroppo) – attualmente supera i 5 milioni (dati Istat) – addirittura ad un ritmo superiore a quello della popolazione italiana. Eppure le strutture di accoglienza non ce la fanno, sia per capienza che per numeri di operatori e servizi erogati.

Tra le tante cause emerge quella culturale. All’enorme sforzo delle organizzazioni di volontariato non sempre è corrisposto un particolare sforzo culturale delle agenzie educative (famiglie, scuola, università, associazioni culturali, comunità di fede religiosa) per pensare e promuovere una cultura dell’accoglienza, rendendola pervasiva nella società e nelle istituzioni. La cultura dominante è spesso fortemente segnata da individualismo, utilitarismo sfrenato, egoismo razionale che portano o a rifiutare qualsiasi impegno gratuito a favore degli ultimi oppure a quella visione secondo cui qualsiasi atteggiamento di cooperazione e solidarietà è vissuto solo se a costo zero. E’ come dire che si è generosi solo nella misura in cui oggetto della mia generosità è il superfluo o quanto è destinato ad essere buttato via. Se invece si tratta di risorse a me preziose (tempo, beni economici, potere) la mia generosità non può realizzarsi. Non ci vuole molto a spiegare l’assurdità di tale pretesa: non esiste atteggiamento di cooperazione e solidarietà che non costi qualcosa, anche se piccola e nascosta. La pratica della solidarietà a costo zero sta forse ispirando anche alcuni ministri? Di fatto già ispira alcuni ambienti che dovrebbero avere gli anticorpi per rigettarla, come alcuni settori del mondo cattolico e altri della sinistra politica, la destra non è cambiata molto nel suo discutibile modo di approcciarsi al problema. E questo è un problema prima di tutto culturale ed educativo: se non formeremo piccoli e giovani (soprattutto), ad accogliere ed essere solidali, la situazione peggiorerà.

In secondo luogo il risvolto politico della questione. Gli attori politici, a mio personalissimo avviso, risentono molto di quella cultura solo retoricamente a favore della solidarietà. Cosa che succede in tutti quei Paesi dove si assiste a uno smantellamento (più o meno evidente) del Welfare State perché poco conveniente, per non parlare dell’emergenza migranti… che non porta voti! Molte istituzioni pubbliche e statali spesso sono sotto il controllo di un “pilota automatico”, che è il mercato e che, molto spesso, detta legge con la sua logica utilitaristica. Non tutte le scelte sono ispirate dall’intento di promuovere e rafforzare la “solidarietà politica, economica e sociale” (art. 2), di cui parla la Costituzione. Eppure la forza del nostro Paese è nella solidarietà, non solo come orizzonte etico generale, ma come attenzione quotidiana – non solo nelle grandi emergenze (terremoti, guerre, profughi).

Nell’udienza di papa Francesco ai partecipanti alla Cattedra (9.3.23), il pontefice con chiarezza ha ricordato: “I nazionalismi chiusi manifestano in definitiva questa incapacità di gratuità, l’errata persuasione di potersi sviluppare a margine della rovina altrui e che chiudendosi agli altri saranno più protetti. L’immigrato è visto come un usurpatore che non offre nulla. Così, si arriva a pensare ingenuamente che i poveri sono pericolosi o inutili e che i potenti sono generosi benefattori. Solo una cultura sociale e politica che comprenda l’accoglienza gratuita potrà avere futuro”.

Stranieri, poveri, disagiati: accogliere è una fatica. Scrive D'Ambrosio

Le strutture dedicate all’accoglienza sono in crisi, il fenomeno migratorio assume una portata sempre più rilevante. “Gli attori politici, a mio personalissimo avviso, risentono molto di quella cultura solo retoricamente a favore della solidarietà. Cosa che succede in tutti quei Paesi dove si assiste a uno smantellamento (più o meno evidente) del Welfare State perché poco conveniente, per non parlare dell’emergenza migranti che non porta voti”

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