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A una guerra mondiale la risposta non può che essere mondiale, cioè globale. È forse questo il senso più semplice del viaggio di papa Francesco in Congo, ora, e nei prossimi giorni in Sud Sudan. Chi pensasse, sbagliando, che la guerra sia solo in Ucraina, non può non fermarsi a riflettere su quanto ha affermato il cardinale congolese Fridolin Ambongo, per il quale il suo popolo “percepisce come una doppiezza della comunità internazionale”. Il prelato congolese osserva con amarezza che per quanto riguarda l’Ucraina, “c’è un Paese che l’ha attaccata, e tutti accorrono perché possa tornare l’ordine. Mentre a casa nostra la comunità internazionale si dichiara impotente. E questa è una cosa che ci oltraggia”. Sarà pure una constatazione banale, ma il cammino della frammentazione dei conflitti, la logica dei figli e figliastri della globalizzazione, non può che produrre un sempre più diffuso senso di estromissione dalla comunità internazionale che finirà col generare nuove ferite, nuove emarginazioni, nuovi bacini di disperazione e violenza, sempre vasti e più disperati. Questa globalizzazione, oggettivamente, non va e se si vuole evitare che siano i tribalismi a spartirsene le spoglie non resta che costruirne un’altra.

Dunque mentre imperversa la guerra nel cuore del vecchio continente messosi da solo dietro una cortina di ferro per separasi dai conflitti che dilagano attorno ad esso e che hanno sempre al centro il controllo delle fonti energetiche, Francesco va a costruire la risposta globale, quella della pace nel nome di una globalizzazione che funzioni, dando a ognuno il suo posto nella casa comune della globalizzazione poliedrica. Non è questa la sola risposta possibile?

È un viaggio contro i marosi di questo nostro tempo nel quale tutti vogano contro tutti, ma nessuno sa trovare il bandolo per costruire un nuovo ordine mondiale. Francesco ci prova, da Kinshasa, capitale di uno dei Paesi più ricchi del mondo nel sottosuolo e più affamato nei milioni di bocche, giovani e vecchie, che vivono sopra quel suolo.

La scelta di Bergoglio non è quello di un cristianesimo che si rintana nella sua casamatta assediata, ma che va a proporre la sua globalizzazione poliedrica a tutti i teatri sconvolti del mondo in disordine. L’Africa è un tassello centrale di questo disordine, con le sue risorse e i suoi stati post-coloniali falliti. Francesco lo ha detto ieri, appena arrivato: “Se non è rispettata la giustizia, che cosa sono gli Stati se non delle grandi bande di ladri?”. Citava Sant’Agostino, ma parlava ai governanti di un continente che se vuole trovare un posto nel mondo di domani deve cominciare a guardare a se stesso, ai propri errori, alle proprie incapacità. È in questo lavoro di ricostruzione di sé che però deve trovare l’aiuto della Comunità internazionale, non a caso ha subito aggiunto l’altra parte delle necessità storica: “Giù le mani dall’Africa, sia protagonista del suo destino”.

Oggi, all’aeroporto di Kinshasa, il papa ha parlato di pace, “pace a voi”, soffermandosi sulla necessità e l’importanza del perdono. Non è facile parlare di perdono a chi scava nelle miniere per pochi dollari. Non è facile parlare di perdono a chi vive tra bande di predoni, tra milizie assassine. Eppure solo questo perdono può consentire di ripartire, costruendo la riconciliazione.

È evidente che solo così la pace diviene una proposta per il governo del mondo nel pluralismo e non una fuga dalla realtà. E infatti nell’omelia odierna durante la Messa celebrata all’aeroporto, davanti ad un milione di fedeli, Francesco si è soffermato sul ruolo delle comunità nella costruzione della pace. L’urgenza sembra quella di un nuovo patto, e il segno di questo patto è sempre quello della cittadinanza. Cittadinanza del singolo nella comunità, cittadinanza delle comunità nello Stato plurale, cittadinanza dei vari Stati nella Comunità Internazionale.

Questo viaggio conferma l’offerta globale della Chiesa di Francesco, un’offerta che non ha alternative in un mondo globalizzato nell’indifferenza ma anche nella logica predatoria. È questa la proposta che mira a unire dal basso per costruire una globalizzazione multipolare.

Da Kinshasa la risposta di Francesco al disordine globale

Nell’omelia odierna durante la Messa celebrata all’aeroporto, davanti ad un milione di fedeli, Francesco si è soffermato sul ruolo delle comunità nella costruzione della pace. L’analisi di Riccardo Cristiano

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