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Partendo per Egitto, Israele e Cisgiordania, Antony Blinken ha sottolineato che questo suo quarto viaggio nella regione da quando è segretario di Stato americano rappresenta l’impegno statunitense “ad approfondire le relazioni bilaterali e i legami interpersonali, a promuovere i diritti umani e a rafforzare la sicurezza regionale e globale”. Complessivamente, “il viaggio di Blinken sembra inviare un chiaro messaggio di impegno mirato degli Stati Uniti nella regione, cercando di rafforzare la cooperazione con e tra i suoi alleati, ma anche di mettere in evidenza le possibili situazioni di attrito che potrebbero minare queste relazioni strategiche”, commenta Shalom Lipner, un quarto di secolo passato all’ufficio del primo ministro israeliano (con sette capi di governo diversi) e oggi nonresident senior fellow del think tank statunitense Atlantic Council, a Formiche.net.

La visita di Blinken in Israele, osserva, arriva dopo quelle di Jake Sullivan e Bill Burns, rispettivamente consigliere per la sicurezza nazionale e direttore della Cia, “apparentemente per fare il punto sul nuovo governo israeliano e gettare le basi per l’attesa visita del primo ministro Benjamin Netanyahu alla Casa Bianca”, continua. Viaggi che dimostra come, “date le preoccupazioni degli Stati Uniti per l’Iran, la guerra della Russia in Ucraina e i palestinesi, allontanare gli Stati Uniti da Israele non sia un’opzione realistica, hanno detto ex funzionari e analisti” a Politico. “Questo nonostante il fatto che la nuova leadership israeliana includa sostenitori di quelle che, secondo molti critici, sono politiche razziste, omofobe e misogine”, scrive ancora il giornale.

“Tuttavia le circostanze hanno reso questi contatti tutt’altro che ordinari”, spiega ancora Lipner. La scorsa settimana si è svolta la più ampia esercitazione militare congiunta mai condotta tra le Forze di difesa israeliane e il Centcom, dando il segnale più forte di un solido coordinamento bilaterale nella lotta contro la minaccia del programma di armamento nucleare iraniano”. Inoltre, come ha sottolineato lo stesso Blinken, recentemente ad Abu Dhabi, negli Emirati Arabi Uniti, si sono riuniti i gruppi di lavoro del Negev Forum nel più grande incontro di funzionari israeliani e arabi in oltre 30 anni.

E non solo: nei giorni scorsi alcune strutture militari iraniane sono finite sotto un bombardamento con droni non identificati, potenzialmente provenienti da Israele. Gli Stati Uniti si sono sganciati dalle responsabilità, con alcuni funzionari che hanno dichiarato che dietro a quell’operazione c’è il Mossad. L’attacco, ha spiegato il New York Times, non sarebbe collegato alle vicende russe, piuttosto a preoccupazioni di sicurezza di Gerusalemme.

Inoltre, gli Stati Uniti hanno mostrato preoccupazioni verso le riforme giudiziarie proposte dalla coalizione del governo Netanyahu. Incontrando la società civile, Blinken l’ha definita “un elemento centrale della democrazia israeliana”. E in conferenza stampa, con il primo ministro Netanyahu al suo fianco, ha sottolineato che “costruire un consenso intorno a nuove proposte è il modo migliore per assicurarsi che vengano accolte e mantenute”. Un’uscita inedita che evidenzia l’attenzione di Washington sul dossier, come dimostra anche il successivo tweet di Tom Nides, ambasciatore statunitense in Israele: nell’incontro odierno con Netanyahu, Blinken e io “abbiamo discusso del sostegno degli Stati Uniti a un Israele sicuro e democratico, basato sui nostri valori democratici condivisi”.

Lipner sottolinea un altro elemento che ha contribuito a rendere la visita di Blinken meno ordinaria. “La scorsa settimana il raid delle Forze di difesa israeliane a Jenin e i due successivi attacchi terroristici a Gerusalemme hanno riportato le tensioni israelo-palestinesi al centro dell’attenzione, costringendo Blinken a chiedere il ritorno alla calma e a sottolineare l’impegno dell’amministrazione per la soluzione a due Stati”, spiega l’esperto. Ma, prosegue, il capo della diplomazia “non si illude di compiere progressi effettivi verso questo obiettivo nel prossimo futuro”.

Anche in questo caso, come per il dossier giustizia, la questione interna intreccia dinamiche internazionali. “La posizione dell’amministrazione Biden sulla questione palestinese – ovvero i ripetuti appelli dei funzionari statunitensi affinché Israele si astenga dall’intraprendere qualsiasi azione che possa precludere una futura soluzione a due Stati – sta rendendo necessario per Netanyahu navigare con cautela tra le aspettative di Washington e quelle dei suoi partner di coalizione ideologicamente determinati”, commenta Lipner. Il primo ministro israeliano, “si trova tra l’incudine e il martello”, aggiunge. Da una parte ci sono le aspirazioni di alcuni ministri “che hanno in mano le chiavi della sua sopravvivenza politica”, decisi a portare avanti piani in Cisgiordania che “ li metteranno in aperto confronto con l’amministrazione” Biden, spiega. Dall’altra ci sono gli obiettivi di politica estera di Netanyahu, come affrontare la minaccia iraniana e portare l’Arabia Saudita nel club dei Paesi arabi che hanno normalizzato le loro relazioni con Israele. Questi “dipenderanno in larga misura dalla volontà del governo statunitense di mobilitare le sue risorse e la sua influenza in un ruolo di supporto”, osserva Lipner. “Riuscire a far convergere entrambe le componenti sarà una sfida enorme per lui”, conclude.

(Foto: Twitter @SecBlinken)

Il dilemma di Netanyahu tra Usa e governo. La visita di Blinken secondo Lipner

I piani di alcuni ministri in Cisgiordania rischiano di creare tensioni con gli Stati Uniti, dai quali dipendono in larga parte gli obiettivi di politica estera di Bibi (guerra con l’Iran e normalizzazione con l’Arabia Saudita). Il viaggio del segretario di Stato americano spiegato dall’ex funzionario israeliano oggi all’Atlantic Council

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