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“Chiudere il triangolo” stringendo un accordo forte con la Germania sul modello del patto del Quirinale: così l’Italia sarebbe legata alla Francia, la Francia alla Germania e la Germania all’Italia con solidi legami bilaterali. Lo pensa il prof. Giovanni Orsina, direttore della Luiss School of Government e autore per Rubbettino di “Una democrazia eccentrica. Partitocrazia, antifascismo, antipolitica”.

Difesa comune sì, migranti ni. Quale il problema, secondo lei, di percezioni europee, al di là del merito del dossier migranti?

Sul merito i governi devono trovare un modo di collaborare, perché l’Unione deve andare avanti. Le percezioni invece hanno a che fare con la politica, che se i governi sono di colore differente porta a non voler collaborare, o a non voler far vedere di collaborare. Un bel dilemma.

Con quali effetti?

Che la cooperazione europea si fa ancora più complicata. È un frutto della mancanza di equilibrio, nell’Unione, fra dimensione intergovernativa e quella sovranazionale.

A Roma conviene fare asse con la Germania in un momento in cui Scholz e Macron hanno molte divergenze su tanti dossier?

Ci sono tante convergenze fra Italia e Germania, e costruire un rapporto proficuo fra i due Paesi è indispensabile, ma è altrettanto vero che su alcuni dossier cruciali – energia, patto di stabilità – convergiamo di più con la Francia. Per noi sarebbe ideale “chiudere il triangolo” stringendo un accordo forte con la Germania sul modello del patto del Quirinale: così l’Italia sarebbe legata alla Francia, la Francia alla Germania e la Germania all’Italia con solidi legami bilaterali. Certo, se i rapporti con la Francia si mettono come si sono messi in questi ultimi tempi, è chiaro che l’Italia inevitabilmente finisce per essere fortemente schiacciata sulla Germania. Che mi pare tutto sommato non sgradisca la cosa.

La telefonata di Mattarella a Macron, nei modi e nei tempi con cui si è manifestata, spiega al governo anche che tipo di postura avere?

Le due presidenze sono intervenute per ribadire, da un punto di vista istituzionale, l’esistenza di un rapporto che sul terreno politico si stava deteriorando. La mossa è servita a riaprire un canale. Certo, quel canale deve poi essere utilizzato poi dal governo italiano. Ma non solo.

Ovvero?

Il governo italiano in verità aveva dato già vari segnali di voler abbassare i toni. Che sono stati tenuti alti sul versante francese: se Mattarella ha dato un segnale in Italia, allo stesso modo Macron lo ha dato in Francia. Questo è un conflitto che non conviene a nessuno, su nessuno dei due versanti delle Alpi.

Oltre al vertice con Biden, a Bali Meloni incontra anche personaggi significativi per i nostri destini economici e geopolitici come Xi, Trudeau, Erdogan e Modi. Una semplice presentazione oppure crede che sarà capace di entrare nei temi e costruire un’agenda internazionale?

Non so esattamente con che tipo di agenda Giorgia Meloni sia andata in questi incontri: la mia impressione è che in una fase come questa sia soprattutto necessario presentarsi e cominciare ad avviare un ragionamento.

Invece quanto alla doppia postura, governista della premier e interventista di Salvini, è questo un elemento di probabile criticità? Esiste il rischio che gli sconfinamenti di Salvini continuino e quindi impattino su temi di ampio interesse per noi, come il dibattito sul debito e i 100 miliardi di BTP da piazzare in assenza del bazooka della Bce?

Salvini ha un’esigenza tutta sua di visibilità. Un’esigenza politicamente legittima, che entro certi limiti deve poter soddisfare. Il governo è nato da poco, ma è evidente che dovrà trovare il modo di definire rapidamente quei limiti e di farli rispettare. In particolare per quel che riguarda il possibile conflitto fra quell’esigenza di visibilità e il contesto europeo e internazionale nel quale si muove l’Italia.

Triangolo con Francia e Germania e argine a Salvini. Le sfide di Meloni secondo Orsina

Due i piani di intervento: immaginare un Trattato del Quirinale bis con Berlino per rafforzare la cooperazione trilaterale e definire i limiti degli sconfinamenti salviniani che, gioco forza, ci saranno. Conversazione con il politologo della Luiss

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