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Il 3 marzo sono stati pubblicati in Gazzetta Ufficiale tre quesiti referendari, uno dei quali chiede l’abrogazione della proroga dell’invio di armi all’Ucraina, sostenendo che “la guerra sottrae risorse pubbliche alla salute e lo fa per finanziare la cessione di armi a Kiev”. Secondo Vittorio Emanuele Parsi, docente all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, di cui è uscito per Bompiani “Il posto della guerra e il costo della libertà”, si tratta di un “delirio e di una disposizione completamente impropria”.

Intanto, precisa, bisognerebbe dimostrare che quelle risorse sono sottratte da altri capitoli di spesa. “Francamente messa così è semplicemente un atto di disonestà intellettuale, anche furbetta, perché esalta il proprio interesse particolare al massimo livello, la salute, e lo si contrappone alla lobby delle armi”. Inoltre, aggiunge, “è anche divertente perché tra i promotori vedo gli stessi nomi che sostenevano durante la pandemia la cosiddetta dittatura del Covid, come Freccero o Ugo Mattei. È la solita compagnia di giro, per cui penso che, così formulato, la Corte avrà facilità nel respingerlo”.

Al di là del fatto che il possibile voto potrebbe essere esattamente tra un anno, il dato rappresenta un inquietante biglietto da visita sul piano internazionale per la delicatezza e l’opportunità degli equilibri atlantici? “Non solo – spiega il prof. Parsi – ma credo sia anche una violazione palese dello spirito della legge che vieta l’invio di armi a Paesi in guerra: quella legge è stata fatta per evitare che ci fosse un commercio di armi, ma non per evitare che l’Italia con il proprio governo potesse assumere una legittima decisione, in ottemperanza all’articolo due dello Statuto dell’Onu, ovvero sostenere un Paese aggredito nei confronti di un aggressore, e farlo con tutte le misure necessarie”.

Secondo l’analista appare chiaro che la decisione di sostenere un Paese attaccato come l’Ucraina dipende da una valutazione politica. “Pensare che si possa vietare questo in assoluto con un quesito referendario francamente è una forma di deresponsabilizzazione dei decisori; oltretutto si propone questo referendum mentre apprendiamo che il 15% dell’opinione pubblica crede che la terra sia piatta, che il 25% crede che esistano i rettiliani e che il 60% crede che il mondo sia governato da una cupola giudaico massonica. Siamo purtroppo a questo livello, che tra l’altro non contribuisce alla crescita dell’opinione pubblica, ma al limite alimenta il delirio di onnipotenza di qualcuno”.

Comunicativamente questa iniziativa non impatta anche negativamente sul peso specifico che l’industria italiana nel comparto di armi ha nel mondo? Ovvero rappresenta una fetta significativa del Pil. “Gli stessi che hanno avanzato questo referendum chiederanno che Pantalone intervenga per salvare industrie decotte? Inoltre mi chiedo per quale motivo un Governo non possa in totale autonomia fare una scelta in accordo con i propri alleati, a maggior ragione di fronte a un caso palese come questo di un’aggressione nei confronti di un Paese vicino”, aggiunge.

Come pesare infine la richiesta di Kiev dei caccia F-15 e F-16 rivolta a vari Paesi occidentali? Secondo Parsi man mano che il conflitto si è protratto gli ucraini stanno cercando di poter avere gli strumenti per continuare a resistere: “Dopo 14 mesi di guerra, ovvero di una guerra portata con questi metodi dai russi, non vedo alcun problema in sé per una fornitura di aviogetti. Piuttosto la criticità tocca l’addestramento di chi dovrà pilotare quei caccia: facendo una previsione ottimistica, occorrono almeno sei mesi di addestramento. Però è chiaro che se la Russia continuerà ad aumentare lo sforzo militare, l’alternativa è doversi trovare di fronte a dei soldati russi al confine polacco. A quel punto, di fronte a questa prospettiva, nulla è più da escludere come nostra contromossa”, conclude.

@FDepalo

Un delirio il referendum contro l'invio di armi in Ucraina. La versione di Parsi

“Pensare che si possa vietare il sostegno ad un Paese invaso con un quesito referendario è una forma di deresponsabilizzazione dei decisori. I promotori? Sono gli stessi che si lamentavano della dittatura da Covid. Così formulato, la Corte avrà facilità nel respingerlo”. L’analisi di Vittorio Emanuele Parsi, docente all’Università del Sacro Cuore

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