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Una fine d’anno più da incubo non poteva essere per la Cina. Il Covid ha di nuovo rotto gli argini, gettando la seconda economia mondiale (che, come raccontato da Formiche.net, il prossimo anno sposterà il suo baricentro su transizione e digitale, abbandonando il tradizionale mattone) nel caos più completo. Eppure a Pechino ormai hanno deciso che non è più tempo di lockdown e restrizioni, non quelle viste nei mesi addietro almeno. Il che ha dato gas alle Borse asiatiche, evidentemente stufe di confinamenti e tamponi.

E anche la finanza sembra voler chiudere con una stagione, quella della politica zero-Covid, che ha portato alla Cina più guai che altro. Lo dimostra il fatto che alcune tra le maggiori istituzioni finanziarie cinesi stanno spingendo i propri dipendenti a rientrare in ufficio, ponendo fine a due anni di lavoro da remoto. Un ritorno alla normalità che per molti gruppi sembra essere ormai la strada maestra per ricostruire un’economia indubbiamente devastata da pandemia e crisi del mercato immobiliare.

C’è per esempio Sinolink, uno dei principali colossi del Paese attivo nella sicurezza informatica, che apertamente invitato i lavoratori a rimettere piede in ufficio e a sedersi a una scrivania. I vertici dell’azienda, ha raccontato Bloomberg, avrebbero addirittura chiesto ai dipendenti che sono positivi ma che non hanno sintomi, di presentarsi dopo cinque giorni sul posto di lavoro. Una frattura evidente e profonda con le politiche portate avanti fin qui dal governo cinese. La stessa società, per invogliare i propri dipendenti a tornare, ha garatito nero su bianco l’assoluta sicurezza dei luoghi di lavoro.

E lo stesso approccio sembra ormai aver preso piede presso i grandi fondi. Alcuni grandi gestori, nel fine settimana, hanno eliminato un precedente requisito secondo cui il personale poteva tornare in ufficio solo con un risultato negativo del test Covid entro 72 ore. Gli azionisti di questi fondi hanno suggerito in modo formale ai propri manager di mantenere in ufficio il numero di persone necessario per garantire la continuità operativa.

D’altronde, lo stesso presidente Xi Jinping ha deciso di voltare pagina rispetto alla strategia zero Covid e di allentare buona parte delle misure anti-pandemiche fin qui in vigore. Un’inversione di rotta rarissima per i massimi vertici cinesi, ma divenuta necessaria dopo che inedite proteste di massa – innescate dalla morte di dieci persone in un incendio che ha colpito un edificio residenziale in regime di isolamento a Urumqi, nello Xinjiang – sono deflagrate in tutte le maggiori città del Paese, mettendo in dubbio finanche la tenuta del regime. Affacciandosi al 2023, dunque, la Cina punta sul ritorno alla normalità e sul rilancio della propria economia, in forte rallentamento per tutto il 2022. Ma le autorità temono di non poter controllare perfettamente la situazione. Timore fondato, o no?

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