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La U.S. Navy ha mosso un passo decisivo verso lo sviluppo di velivoli senza pilota di tipo Collaborative Combat Aircraft (noti anche come loyal wingmen) imbarcabili su portaerei. Cinque grandi aziende (Anduril, General Atomics, Boeing, Northrop Grumman e Lockheeed Martin) hanno infatti ottenuto contratti per la progettazione di questi sistemi, con l’obiettivo di arrivare a disporre di piattaforme modulari, interoperabili e versatili, capaci di operare da portaerei con costi contenuti e un ampio margine di flessibilità, riducendo i rischi per gli aerei con equipaggio e affiancando i caccia di quarta, quinta e sesta generazione.

Tra le aziende coinvolte spicca la start-up Anduril, che ha annunciato l’intenzione di sviluppare un velivolo concepito appositamente per le esigenze della Marina, con tempi rapidi di produzione e la capacità di operare su larga scala. Non ha però chiarito se il progetto sarà collegato allo Yfq-44A Fury sviluppato dalla stessa azienda, che è già selezionato dall’Air Force. General Atomics punta invece a valorizzare l’esperienza maturata con il drone Yfq-42A e con la propria linea di ricerca sul “chassis modulare”, che consente di adattare lo stesso nucleo tecnologico a piattaforme differenti: da questa filosofia deriva la famiglia Gambit, che comprende anche un modello specificamente navale, il Gambit 5. L’azienda ha inoltre ricordato la propria lunga familiarità con le operazioni imbarcate, dagli esperimenti con il dimostratore Mojave su portaerei e navi anfibie britanniche e sudcoreane, fino al contributo al sistema di lancio elettromagnetico Emal della classe Ford.

Boeing non ha fornito ulteriori dettagli, ma si presume che possa proporre una versione imbarcata del proprio Mq-28 “Ghost Bat”, sviluppato originariamente in Australia e già sfruttato negli Stati Uniti per test sull’autonomia e sull’intelligenza artificiale. Northrop Grumman, che in passato aveva guidato lo sviluppo dei dimostratori X-47B poi abbandonati dalla Marina, ha confermato di essere tornata in campo con nuovi concetti, forte di una solida esperienza in materia di aviazione navale e di software di autonomia. Diverso invece l’approccio di Lockheed Martin, che non lavora tanto sull’aereo in sé quanto sull’architettura di comando e controllo. La sua piattaforma Mdcx è infatti già parte del sistema Md-5, destinato a diventare il cuore del controllo degli Uav imbarcati. Lo scorso anno ha gestito con successo il volo di un Mq-20 Avenger, dimostrando come le future capacità di Collaborative Combat Aircraft possano integrarsi nei sistemi delle portaerei.

La decisione della Marina giunge a sorpresa, dato che finora aveva mantenuto una linea prudente, preferendo concentrarsi sull’introduzione del tanker Mq-25 “Stingray”. Tuttavia, l’accordo trilaterale con Air Force e Marine Corps, che condividono approcci complementari nello sviluppo dei Cca, ha accelerato l’avvio di studi e contratti. Molti interrogativi restano aperti: come integrare i nuovi droni nelle ali imbarcate, quale rapporto stabilire tra velivoli con e senza pilota, e in che modo addestrare i piloti per instaurare quel rapporto di fiducia necessario al lavoro di squadra con sistemi autonomi. Ma con l’ingresso ufficiale dei grandi contractor nel programma, la U.S. Navy si avvia a colmare il divario con le altre forze armate americane, pur rimanendo in una fase esplorativa. La sfida sarà coniugare esperienza operativa, innovazione tecnologica e sostenibilità economica per dotarsi di una nuova generazione di droni da combattimento imbarcati.

 

 

Droni gregari imbarcati. La Us Navy si unisce alla corsa per i Cca

La U.S. Navy rompe la cautela e accelera sui loyal wingmen imbarcati su portaerei. Anduril, Boeing, General Atomics, Northrop e Lockheed in campo con proposte diverse, tra droni dedicati, versioni adattate e sistemi di comando e controllo avanzati

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