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Sabato 17 dicembre  il presidente Kais Saïed ha portato i tunisini al voto per eleggere la nuova Assemblea, dopo averla congelata e successivamente dissolta nel luglio 2021. La missione che il Capo dello Stato si è dato, comprimendo le istituzioni democratiche e accentrando poteri e attività sul suo ufficio, è passata cinque mesi fa dal referendum costituzionale e ora dalle urne. I risultati saranno frutto di un conteggio che durerà fino al mese prossimo, ma intanto un dato è chiaro: ha votato meno del 9% degli aventi diritto.

“Il tasso di astensione record (intorno al 91%) è una riprova del crescente scollamento tra la popolazione tunisina e le dinamiche politiche in atto nel paese”, spiega Lorenzo Fruganti, ricercatore del MENA Desk dell’Ispi, a Formiche.net.

Il giorno del voto era stato scelto per arricchire di simbolismo il momento. Undici anni fa, il 17 dicembre, Mohamed Bouazizi si immolò pubblicamente e, creando l’innesco per la serie di manifestazioni e proteste che portarono alla caduta del vecchio regime, aprì la strada per il tentativo di democrazia in Tunisia, lanciando una serie di rivolte all’interno del mondo arabo, le “Primavere”.

Da quel momento, per anni la Tunisia era stata considerata un esempio di successo (l’unico) di quella fase di emancipazione dei popoli che ha toccato molti Paesi della regione. Da circa diciotto mesi questo processo storico tunisino è stato sospeso dal colpo di mano di Saïed. Ora, nonostante il voto — anzi secondo qualcuno, attraverso il voto — sembra del tutto decaduta la possibilità che la democrazia parlamentare per come la intendiamo possa restare a Tunisi.

“Andiamo verso elezioni che derivano da una Costituzione che non è stata né partecipativa (nella sua elaborazione) né sottoposta all’approvazione della maggioranza”, aveva dichiarato Noureddine Taboubi, segretario dell’UGTT, il sindacato dei lavoratori che ha acquisito via via maggiore potere anche perché si oppone alle scelte di Saïed. Taboubi aveva invitato i cittadini a boicottare le urne. Diceva: “Queste elezioni non hanno ragion d’essere. Non hanno né gusto né colore”.

A giudicare dai risultati ha avuto maggiore successo di Saied. “Anche se il voto sembra essere stato concepito dal presidente come un esercizio democratico, introdotto come ultima tappa di un processo di accentramento dei poteri che ha sancito il progressivo indebolimento delle istituzioni del paese (parlamento incluso), la bassissima affluenza ha segnato il fallimento di tale esercizio e messo in discussione la legittimità del processo politico di Saïed”, aggiunge Fruganti.

Con il passaggio a un sistema presidenziale e la formazione di un organo legislativo privato delle sue prerogative — in linea con le disposizioni della nuova costituzione approvata a luglio — “queste elezioni non hanno alcun peso specifico se non quello di gettare un’ulteriore ombra sul futuro assetto politico e istituzionale del paese”, spiega il ricercatore.

“Se il voto rappresenta un altro passo in avanti nel percorso tracciato unilateralmente dal presidente Saïed, per contro, il boicottaggio dei principali gruppi politici e movimenti di opposizione, unito al forte astensionismo popolare, riflettono una tendenza al declino della base di consenso del capo dello stato tunisino”, aggiunge.

Ora Saïed appare sempre isolato: il percorso avviato si interromperà o subirà cambiamenti essenziali? “Saïed è isolato dai partiti quanto dal popolo, ma verosimilmente andrà avanti per la sua strada nonostante l’opposizione abbia chiesto a gran voce le sue dimissioni dopo il ‘fiasco’ delle elezioni”, risponde Fruganti.

Secondo l’esperto dell’Ispi, il passo successivo alla composizione di un nuovo parlamento nelle prossime settimane potrebbe essere la nascita di un nuovo esecutivo, di nomina presidenziale così come quello attualmente in carica.

“D’altra parte, il governo guidato da Najla Bouden è stato fagocitato dalla macchina amministrativa e dalla concentrazione dei poteri nelle mani di Saïed. Senza reali margini di manovra, il primo ministro ha visto il proprio ruolo ridursi a quello di mera assistenza al Capo di stato, fallendo nell’obiettivo che le era stato assegnato al momento del suo insediamento: traghettare il paese fuori dalla crisi socioeconomica e finanziaria”.

A dimostrazione di questo, alcuni giorni fa è giunta anche la decisione del Comitato esecutivo del Fondo monetario internazionale (Fmi) di posticipare la riunione in programma il 19 dicembre con cui si sarebbe dovuto dare il via libera all’accordo preliminare da 2 miliardi di dollari di aiuti (da distribuire in 48 mesi), un’intesa raggiunta a metà ottobre dopo una lunga fase di negoziato con le autorità di Tunisi.

“Secondo alcuni economisti — ricorda Fruganti — il nuovo disegno di legge finanziaria, varato pochi giorni fa dal presidente Saïed si sarebbe discostato dagli impegni assunti dalla delegazione tunisina che ha concluso le trattative con l’organizzazione lo scorso ottobre.

In attesa della formazione del futuro governo resta da vedere chi potrà prendere il posto della Bouden”. Il presidente ha già fatto la sua scelta? E su quali criteri? “Una domanda ancora molto aperta sulla quale potremo avere le prime indicazioni solo nei prossimi giorni”.

L’astensione arena i piani di Saied? Il punto di Fruganti (Ispi)

Secondo Fruganti (Ispi), il passo successivo alla composizione di un nuovo Parlamento, nelle prossime settimane, potrebbe essere la nascita di un nuovo esecutivo. Il processo politico di Saied è messo a dura prova dallo scarso consenso popolare

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