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L’ultima notizia l’ha diffusa nei giorni scorso il Washington Post, a proposito del programma di acquisto di circa 500 missili da crociera Tomahawk dagli Stati Uniti, armi con cui il Giappone aumenterà le sue capacità di deterrenza convenzionali in una fase di riarmo che rientra nel piano del premier giapponese, Kishida Fumio, per aumentare la spesa militare al 2% del Pil entro il 2027.

Significa più o meno raddoppiarla, portandola 47 miliardi di dollari secondo i numeri diffusi da Kyodo News, dopo che il premier a fine novembre aveva annunciato l’aumento. Il prossimo piano quinquennale 2023-2027 dovrebbe aggirarsi attorno ai 318 miliardi, che significa un incremento della spesa militare attorno al 50%. La coalizione di governo è pronta a scommettere politicamente sull’aumento di spesa, anche attraverso aumento graduale della tassazione a carico delle imprese e sul tabacco a partire dal 2024.

Le ultime dinamiche parlano chiaro: Tokyo prevede di triplicare (più o meno) le unità di difesa contro i missili balistici nelle Nansei, una catena di isole che si estende a sud-ovest da Kyushu verso Taiwan (passeranno da 4 a 11); l’Air Self-Defense Force è stata inviata per la prima volta per esercitazioni nelle Filippine per accelerare l’interoperabilità mentre radar giapponesi arrivano a Manila; la nuova strategia di sicurezza nazionale nipponica probabilmente designerà la Cina come “sfida strategica”; e infine il Global Compact Air Programme per la realizzazione di un nuovo caccia (ma forse è limitante definirlo solo in questo modo) in collaborazione con Regno Unito e Italia.

“È necessario portare avanti l’urgente rafforzamento della spesa militare entro cinque anni, che è il fulcro per un radicale rafforzamento della capacità di difesa”, aveva detto Kishida nei giorni scorsi. L’annuncio (di cui si parla da un po’) segue la traiettoria strategica dettata da Abe Shinzo ed è del tutto in linea con la volontà del Giappone di crearsi una dimensione internazionale da potenza.

La spesa per la difesa del Giappone è stata fissata a circa l’uno per cento del PIL o meno per decenni, ma il Partito Liberal Democratico di Abe e Kishida ha già da tempo segnalato l’intenzione di aumentarla.

Le crescenti pressioni da parte della Cina, tra cui le esercitazioni militari e la presenza di imbarcazioni intorno alle isole contese con il Giappone, nonché l’invasione russa dell’Ucraina, hanno contribuito a creare un sostegno per l’aumento della spesa. Anche una serie di lanci di missili da parte della Corea del Nord, tra cui alcuni che hanno sorvolato il Giappone, hanno reso più acute le opinioni tra i cittadini.

È molto interessante che la mossa di Tokyo sia del tutto allineata con i numeri Nato, e si inserisca all’interno di un dibattito (anch’esso tutt’altro che nuovo) tra Washington e gli alleati europei — con il primo che chiede agli altri di raggiungere gli obiettivi fissati dal Summit Nato di Newport del 2014.

Mentre l’alleanza ha fissato il raggiungimento dell’obiettivo in 10 anni, con molti dei Paesi membri che hanno rinviato i loro obiettivi, il Giappone in qualche modo si accoda — velocizzando il processo e portandolo a tempi simili a quelli degli occidentali.

Non è assolutamente sorprendente questo allineamento, che tra l’altro segue qualcosa di simile visto nell’ambito più ristretto (sebbene simbolico e strategico) dell’Ucraina. E l’annuncio di Kishida ha avuto una tempistica (casuale?) con la ministeriale Nato di fine novembre.

“La Nato è più forte e più unita di ogni momento che io possa ricordare in circa 30 anni”, ha detto il segretario di Stato statunitense, Antony Blinken, intervenendo alla ministeriale dell’alleanza: “Il principio fondamentale che portiamo per l’aggressione russa all’Ucraina e altre sfide come quelle che Cina ci pone, è che le affrontiamo insieme e uniti, questa è la più grande forza della Nato”.

Dopo aver partecipato al Nato di Madrid, a giugno (Kishida è stato il primo premier giapponese a prendere parte a questo tipo di vertici), Tokyo ha spinto per implementare la cooperazione con la Nato.

Nel mese di aprile, il ministro degli Esteri, Yoshimasa Hayashi, era già stato il primo alto diplomatico giapponese a partecipare a una riunione dei ministri degli esteri della Nato, mentre nel mese di maggio, il generale Koji Yamazaki, capo di stato maggiore della Difesa nipponica ha rappresentato per la prima volta il Giappone alla riunione dei capi militari della difesa della Nato. E questi mese Tokyo si è unita al Cooperative Cyber Defence Centre of Excellence con sede a Tallinn, in Estonia, come riportato da Gabriele Carrer.

Ora la mossa di Tokyo serve anche a Washington per mostrare agli alleati europei che altri alleati si stanno muovendo rapidamente.
L’abbinamento Nato-Giappone è un’indicazione della connessione della sicurezza globale tra Europa e Indo-Pacifico, e il Giappone ne percepisce il valore. Non è casuale che con l’aumento delle spese per la Difesa si abbinino mosse come quelle di appoggio completo alle sanzioni contro la Russia o l’adozione di misure di export control come quelle sui del tutto simili alle statunitensi raccontate su queste colonne da Otto Lanzavecchia.

“Non è più una o l’altra”, aveva detto John Kirby, capo delle comunicazioni strategiche del NSC della Casa Bianca, durante il summit madrileno: “Le stesse tipologie di attacchi all’integrità territoriale e alla sovranità cui stiamo assistendo in Europa possono accadere nell’Indo-Pacifico”. E Tokyo intende portare essere paradigma di questa sostanziale continuità tra dossier euro-atlantici e indo-pafici.

Il governo giapponese è già gravato da enormi costi associati all’invecchiamento e alla riduzione della popolazione, oltre che dalla ripresa post-pandemia e dalle conseguenze della guerra in Ucraina. Per questo lo sforzo assume ulteriore valore. Un sondaggio di Kyodo News ha rilevato che circa un terzo degli intervistati è favorevole a tagli di spesa in altre aree del bilancio del governo per pagare l’aumento della spesa per la difesa. Poco più del 22% è a favore di un aumento delle tasse sulle imprese e il 13% è favorevole all’emissione di titoli di Stato.

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