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Non vorrei offendere alcuni politici ed esperti del giornalismo, ma l’esame di storia contemporanea andava sostenuto nel curriculum universitario. Ho già richiamato in un precedente articolo (Formiche.net, 24/02/2025) la similitudine tra i “patti” tra Donald Trump e Vladimir Putin, e i patti di Monaco del 1938. Questi ultimi, per quietare la “bestia affamata”, dopo l’Anschluss (1936), permisero lo smembramento della neo-repubblica parlamentare della Cecoslovacchia, assegnando i Sudeti alla Germania hitleriana (regione con maggioranza di lingua tedesca, ma di tradizione boema). A quei patti firmati a Monaco, ricordiamolo per l’ennesima volta, vergognosamente, non fu invitato il presidente della Cecoslovacchia, Edvard Beneš.

Mi fa piacere che Massico Franco (attenta ed equilibrata firma del Corriere della sera, ospite di L’aria che tira, 6 marzo 2025), abbia parlato chiaro: “Non possiamo accusare l’Europa di essere bellicista quando un Paese è stato aggredito e l’Europa cerca di aiutare tale Paese […] soprattutto dopo che il sostegno Usa viene a mancare. Forse l’Europa deve andare oltre l’essere un insieme di Stati che si occupano solo di burocrazia ed economia”. “Europa First?”, suggerisce David Parenzo, “Europa first!”, replica Massimo Franco.

Appare al comune cittadino che se Donald Trump concorda con la fine dell’esistenza della indipendente Ucraina, significa che accetterà la fine della indipendenza di Taiwan e così potrà dire: ora il Canada, la Groenlandia e magari, tra qualche anno, un po’ di piccoli Stati intorno a Panama, potrebbero entrare nella bandiera a stelle e strisce.

Insomma, si ha l’impressione che il mondo si stia dividendo in tre grandi spicchi di aree, sotto influenza e dominio, a tutti gli effetti, di tre rispettivi presidenti-imperatori: Donald Trump; Vladimir Putin; Xi Jinping. Rimane poi come spartire il ricco piatto Africa: ci si metterà d’accordo (già siamo sulla buona via per le risorse minerarie).

E l’Europa? L’Europa ricorda quegli staterelli italiani che per secoli si appoggiavano una volta alla Spagna, una volta alla Francia, una volta all’Austria-Ungheria, pensando ai propri interessi e danneggiando lo staterello confinante. L’Italia, “espressione geografica”, secondo il cancelliere Klemens von Metternich, andò avanti sino a al 1860. Espressione che non era dispregiativa verso gli italiani, come fu letta dei patrioti del 1848, ma il primo ministro, intendeva dare precedenza a Imperi europei multietnici, a predominanza di uno stato-guida, composti da diverse aree geografiche, al fine di impedire la creazione di altri Stati indipendenti: nel nostro caso dell’Italia.

Appaiono anche irrealistici gli interventi di chi propone, “prima facciamo un esercito” e poi pensiamo alle armi.  Ma se le invasioni “russo-sovietiche” si stanno consumando ora, oggettivamente, non si ha il tempo per creare un esercito europeo: istruirlo, coordinarlo, attrezzarlo, posizionarlo. Occorrono anni. Unificare anche i vecchi armamenti…

Non è più saggio armarsi, con nuovi strumenti, e opporre una deterrenza militare che sulla carta ha un forte riscontro diplomatico-persuasivo? E se mentre aspettiamo l’esercito comune, villaggi di frontiere della Finlandia, l’intera Estonia, o le aree est della Slovacchia, o della Romania, dove si parla un pochino di ucraino/russo, saranno ri-sovietizzate?

Possiamo permetterci di essere ingenuamente pacifisti, come lo fu l’Europa democratica (Gran Bretagna e Francia) a Monaco nel 1938? Contrapporre i denari “sottratti” alle pensioni, alle scuole, alla sanità, e “buttati via per le armi”, mi pare un discorso insincero e poco realistico. Un po’ demagogico. Se qualcuno mi sta puntando una pistola mi preoccupo se non ho la lavagna digitale a scuola?

Possiamo anche disinteressarci al destino del popolo ucraino. Quanti intellettuali e politici sanno che vi è una differenza notevole tra cultura ucraina e cultura russa? Per molti di coloro che parlano in tv o scrivono, sono tutta “na famija”.

Per i prossimi anni l’Italia non sarà occupata militarmente. Magari sarà invasa da prodotti tecnologici ed energetici, risultato anche del nostro disinteresse per la perduta democrazia di uno Stato sovrano. Cosa fare subito, ora, per arginare la distruzione di una nazione, di una cultura, la deportazione di bambini cui si cancella una lingua, si distruggono gli affetti?

Chissà cosa avrebbe detto Mario Rigoni Stern? Per noi, nel caldo tepore del Mediterraneo, l’Ucraina è lontana. Preferiamo essere una felice colonia, tappetino dei presidenti-imperatori, o credere e lavorare per una Europa-unico-Stato?

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