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Il Pentagono sta cercando soluzioni per condividere e proteggere meglio le informazioni top-secret con i partner internazionali. La Defense Intelligence Agency (DIA), cioè l’agenzia di intelligence militare degli Stati Uniti, vuole raggiungere questo obiettivo realizzando uno spazio comune digitale. Lo ha spiegato la scorsa settimana Doug Cossa, che dal luglio dell’anno scorso è il chief information officer della DIA, a capo di una struttura di oltre 4.000 persone e con un bilancio di 1 miliardo di dollari che si occupa dei servizi informatici dell’agenzia e della intera Comunità di intelligence degli Stati Uniti. Tra i suoi incarichi ricade anche la responsabilità del Joint Worldwide Intelligence Communications System, la rete del governo federale gestita dal Pentagono.

Aprendo i lavori della Conferenza mondiale sul sistema informativo del Dipartimento della Difesa (Department of Defense Intelligence System Worldwide Conference), Cossa ha sostenuto che “è ormai consuetudine che sviluppiamo tutto in un ambiente non estero, e questo modello deve cambiare”. La DIA sta collaborando con le varie agenzie del Pentagono (l’ufficio del direttore tecnico e la Defense Information Systems Agency) e con l’Ufficio del direttore dell’intelligence nazionale per stabilire una “semplice base informatica” costruita su servizi comuni e infrastrutture interoperabili.

Come ha spiegato Defense One, un elemento importante di questa strategia sarà l’aggiornamento e l’allargamento del Joint Worldwide Intelligence Communications System, rete intranet vecchia ormai di decenni che facilita le comunicazioni top-secret. ”E non si tratta semplicemente di sostituire la vecchia infrastruttura. Si tratta di aggiungere nuovi principi di cybersicurezza, in particolare di fiducia zero, ma anche di guardare al futuro e a come rendere la rete più autonoma”, ha dichiarato Cossa. Le altre quattro priorità sono: il passaggio a sistemi zero-trust, il miglioramento delle comunicazioni con i partner internazionali, la fornitura di software alla comunità di intelligence militare e il miglioramento della forza lavoro.

Cossa ha spiegato che gli Stati Uniti stanno già lavorando con i partner Five Eyes (Australia, Canada, Nuova Zelanda e Regno Unito) tramite Torch, un sistema con e-mail, chat, ricerca e archivi di dati comuni. L’obiettivo del 2023 è ampliarlo. “L’idea è di estendere questo sistema al di là dei Five Eyes, con gli altri partner internazionali, in modo da integrare il nostro ambiente senza soluzione di continuità”, ha detto Cossa, sottolineando che la connettività internazionale di solito implica lo sviluppo di “tecnologie che creano una giuntura tra l’ambiente in cui lavoriamo noi e l’ambiente in cui lavorano loro”. Il cloud avrà un ruolo cruciale.

Ma le novità annunciate da Cossa alla conferenza non si fermano qui. Presto potrebbero essere benvenuti all’interno delle strutture top-secret anche i dispositivi wireless come telefoni, tablet e smartwatch. “Se si considera tutta la tecnologia con cui si entra dal cancello, persino quella che si trova sulla propria auto, il portachiavi, è inevitabile che si debba affrontare questo problema”, ha spiegato. La sfida consiste nel proteggere i dati, per esempio con la crittografia, e “abbattere i muri” dei centri di comando e degli uffici costruiti in risposta alle crisi. Negli ultimi anni le comunità della difesa e dell’intelligence hanno iniziato ad adottare soluzioni remote e wireless, soprattutto a causa della pandemia Covid-19 e del ricorso al telelavoro. Già la National Geospatial-Intelligence Agency ha annunciato il via libera ai dispositivi wireless nel suo nuovo campus di St. Louis, che dovrebbe essere completato entro la fine del 2025. Ora anche questo tabù sta per cadere.

Il Pentagono vuole aggiornare la sua rete intranet. Ecco perché

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