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Se la notte porta consiglio, allora la decisione degli azionisti di Tim sulla vendita della rete sembra orientata alla calma. Sì, perché adesso di tempo per sciogliere la riserva e liberarsi di un asset di valore ma poco strategico ormai, ce ne è ancora di più per il gruppo guidato da Pietro Labriola. Un piccolo passo indietro. L’ex Telecom ha bisogno di vendere la sua infrastruttura – una volta concluso lo spin off degli asset di rete fissa (NetCo) dai servizi – essenzialmente per abbattere il debito da 20 miliardi che zavorra l’azienda, impedendole di liberare nuova finanza e spostare il baricentro su fibra e 5G più di quanto non abbia già fatto.

Lo vogliono gli azionisti, tra tutti i soci di riferimento di Vivendi e lo vuole la Borsa (il titolo è tornato tonico, dopo una seduta al ribasso). Sul tavolo di Tim è arrivata, dieci giorni fa, l’offerta non vincolante di Kkr, il fondo americano che già possiede il 37,5% di Fibercop (la scatola con dentro la rete secondaria di Telecom), che valuta l’asset fisso circa 20 miliardi. Una mossa che ha spiazzato, almeno in parte, il governo di Giorgia Meloni e soprattutto Cassa depositi e prestiti, azionista Tim al 9,8%, costretti a questo punto a rilanciare.

Questo perché la linea di Palazzo Chigi e di Fratelli d’Italia è sempre stata molto chiara: l’Italia ha bisogno di una società nazionale della rete, a controllo pubblico. E per far sì che questo accada, occorre che lo Stato si assicuri tutta o almeno una buona parte dell’infrastruttura messa sul mercato da Tim. La rete unica, frutto della fusione tra la rete di Tim e la fibra di Open Fiber (controllata al 60% dalla stessa Cdp e al 40% da Macquarie) dovrà essere messa sotto il cappello dello Stato. Per questo permettere a via Goito di assicurarsi la rete, soffiandola di fatto a Kkr, potrebbe facilitare il tutto, semplificando la regia pubblica e accelerando il percorso verso la società unica.

Tutto ciò gli americani di Kkr lo sanno e non cercano strappi. Per questo hanno deciso di allungare la scadenza dell’offerta non vincolante al 24 marzo prossimo, concedendo all’esecutivo il tempo utile per studiare un eventuale ingresso nella partita se non, addirittura, la presentazione di una contro-offerta. Oppure, come si sussurra, la creazione di un investimento comune, su due piedi, per spartirsi di fatto la rete tra lo Stato e Kkr. Ipotesi però che ambienti vicini al dossier ritengono prematura. Attenzione, dettaglio non da poco: nella nota di Tim si legge che è stato il governo a chiedere al fondo lo spostamento della deadline.

“La proroga del termine è dovuta ad una richiesta del governo di disporre di ulteriori quattro settimane per effettuare una analisi congiunta degli aspetti pubblicistici dell’operazione concernenti i poteri esercitabili dal governo nel settore. Kkr ha tuttavia confermato la propria disponibilità a continuare un dialogo costruttivo con Tim e a procedere con le attività di due diligence”, spiega l’ex monopolista. Insomma, massima collaborazione e porte aperte al dialogo, anche con Palazzo Chigi.

A questo punto, come confermano ambienti vicini all’ex Telecom consultati da Formiche.net, il board convocato per venerdì prossimo, si preannuncia interlocutorio. Ma non troppo, perché se è vero che una decisione sull’offerta americana, per i motivi di cui sopra, non verrà presa, è altrettanto vero che i consiglieri non si esimeranno dal fare proprie valutazioni sulla proposta di Kkr, aspettando che qualche cosa dalle parti di Cdp si muova o che lo stesso fondo arricchisca il boccone, alzando la posta. Senza mai dimenticare che i conti vanno fatti con l’oste, che si chiama Vivendi: il primo socio di Tim col 23,7% ritiene che la rete valga circa 30 miliardi, ben oltre le cifre in campo.

Tim, aspettando le mosse del governo c'è il fair play di Kkr

Il fondo americano, su richiesta di Palazzo Chigi, allunga la scadenza per l’offerta non vincolante per la rete. Un segnale di apertura che pone Cassa depositi e prestiti nelle condizioni di rilanciare o valutare un ingresso congiunto nell’asset con gli statunitensi. Ma attenzione alla variabile Vivendi, che per l’infrastruttura vuole 30 miliardi

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