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Alla Camera i seggi conquistati dal centrodestra sono 235, 80 per il centrosinistra, 51 al Movimento 5 Stelle, 21 Terzo polo. Al Senato 112 per il centrodestra, 39 per il centrosinistra, 28 per i 5 Stelle e 9 per il Terzo polo, più un seggio per la lista De Luca sindaco d’Italia. Questi i numeri, ma poi ci sono i nomi. Non sono pochi i congedi – più o meno dignitosi – dei candidati delle forze politiche che, complice il taglio dei parlamentari e l’avanzata delle destre, non sono riusciti a riconquistare un seggio in Parlamento.

Uno su tutti, Luigi Di Maio. Ministro degli Esteri uscente, già ministro dello Sviluppo economico e del Lavoro nel governo Conte I nonché vicepremier, in precedenza, nella XVII legislatura vicepresidente della Camera, il più giovane della Storia repubblicana. Nel bagaglio delle esperienze si aggiunge la scissione dal Movimento 5 Stelle, di cui è stato capo politico, e che ha invece lasciato proprio nel giugno del 2022 creando un nuovo gruppo parlamentare, Insieme per il futuro, e poi una forza politica assieme a Bruno Tabacci (unico eletto del nuovo partito), Impegno Civico. “Non ci sono se, ma o scuse da accampare”, ha scritto Di Maio in una nota nelle sue pagine social. “Abbiamo perso. Gli italiani non hanno considerato abbastanza maturo e valido il nostro progetto politico. E su questo la nostra comunità dovrà aprire una riflessione”.

A restare fuori anche molti dem. “Andata, niente, sono fuori”, ha scritto – sempre sui social – Filippo Sensi, deputato del Partito democratico dal 2018, in precedenza, dal 2014 al 2018, portavoce e capo ufficio stampa dei presidenti del Consiglio Matteo Renzi e Paolo Gentiloni. “La mia esperienza parlamentare finisce qui, dopo quasi cinque anni alla Camera che ho cercato di onorare, non sempre riuscendoci, ma – credetemi – ogni singolo giorno. Ogni singolo giorno”. Ai ringraziamenti sentiti di Sensi fanno eco quelli sintetici di Emanuele Fiano: “Parto per Roma, vado a smontare casa e ufficio. Non è una fine, è un inizio. Buona giornata!”.

Più amaro l’addio ai banchi del Senato di Monica Cirinnà. Porta il suo nome la legge sulle unioni civili, in Parlamento dal 2013, Cirinnà aveva inizialmente rifiutato la ricandidatura in un “collegio non idoneo ai miei temi”, tornando poi sui suoi passi scegliendo di correre. “Da quella notte del 15 agosto ho combattuto, prima di tutto, contro me stessa”, ha scritto la senatrice uscente. “Nonostante la perenne sensazione di sconfitta, giorno dopo giorno, ho attraversato un territorio vastissimo, incontrando l’affetto di tante persone, ascoltando desideri, necessità e anche critiche. L’ho fatto con coraggio e generosità, perché non conosco altro modo di fare politica, da donna di sinistra impegnata in politica e, finora, nelle istituzioni. Non è bastato”.

E non sono bastati neanche i voti per Emma Bonino, che con la sua Più Europa non è riuscita a raggiungere la soglia del 3%. “Chiederemo il riconteggio dei voti, collegio per collegio, visto che alla soglia del 3% è mancato pochissimo, appena lo 0,05”, ha fatto sapere Bonino, che conferma però il suo impegno politico anche fuori dal Parlamento. E una stoccata la riserva a Carlo Calenda: “C’è chi si dispiace del risultato, un po’ tardi e molto ipocrita, perché sapeva perfettamente”.

Ma non solo dai banchi dell’opposizione arrivano gli addii. A fare i conti con le mancate rielezioni anche la Lega di Matteo Salvini, che non riesce a far rieleggere il fondatore della Lega Nord, Umberto Bossi. “Sono contento poiché avevo deciso di non candidarmi. Mi hanno pregato e solo per il rispetto verso la militanza ho accettato”, ha fatto sapere Bossi all’AdnKronos, mentre ancora si diffonde la proposta di Salvini di nominarlo senatore a vita.

A dire addio alla Camera dei deputati anche Simone Pillon, deputato leghista, che, ricorda lui stesso, da anni fuori dal Parlamento lavorava attivamente per le cause in cui crede. “Mi metto a disposizione del segretario del mio movimento politico e dell’intero centrodestra per continuare l’impegno nel difendere la natalità e la vita umana dal concepimento alla morte naturale, nel promuovere da ogni punto di vista la famiglia e la bigenitorialità, con l’insostituibile ruolo della mamma e del papà, nel sostenere la libertà educativa e nel combattere la protervia del Gender, l’orrore delle droghe e tutte le altre minacce che incombono sui più fragili e particolarmente sui bambini”, ha scritto Pillon nelle sue pagine social.

Fuori dai Palazzi del potere la creatura di Gianluigi Paragone, che con la sua Italexit non ha raggiunto il 3% necessario a entrare in Parlamento. “La nostra scommessa era ovviamente quella di superare la soglia di sbarramento e speravamo in un’affluenza decisamente superiore”, sono state le prime parole dell’ex direttore del giornale La Padania, ex M5S e pontiere del governo gialloverde. Un breve messaggio di ringraziamento su Facebook e la promessa di non mollare le parole spese dal deputato uscente.

“Info di servizio. Non sono stato rieletto, ma era evidente all’atto della candidatura al Senato, che ho accettato per riconoscenza. Dopo 21 anni e mezzo finisce il turno di guardia nelle istituzioni. È stato un onore. Ora avanti verso un futuro da costruire!”, ha scritto il decano della comunicazione politica di Forza Italia Antonio Palmieri sui suoi canali social. Un saluto composto, seppure amaro, dopo una militanza più che ventennale in Forza Italia.

I messaggi d'addio al Parlamento di chi non è stato rieletto

Di Maio, Fiano, Sensi, Cirinnà, Paragone sono solo alcuni dei nomi che non sono stati riconfermati questo 25 settembre. Ma gli addii non arrivano solo per le opposizioni: uno su tutti il fondatore della Lega Nord Umberto Bossi, non eletto dopo 35 anni in Parlamento. Ma non se ne dispiace troppo…

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