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Dolkun Isa, cittadino uiguro di nazionalità anche tedesca dal 2006 e presidente del Congresso mondiale uiguro, presenterà il suo libro “La trappola cinese” lunedì in Senato su iniziativa del senatore Giulio Terzi di Sant’Agata, esponente di Fratelli d’Italia, in collaborazione con il Global Committee for the Rule of Law – Marco Pannella (qui tutte le informazioni).

Si tratta di un evento a suo modo storico, visto che nel 2017 Dolkun era stato fermato dalla Digos e portato in questura poco prima di poter intervenire a conferenza stampa organizzata dal Partito radicale. Qualcosa di simile era già accaduto a New York, in Corea del Sud, in Turchia e in Svizzera. La polizia si era mossa sulla base di segnalazione dell’Interpol, allora guidata da Meng Hongwei, già viceministro della Pubblica sicurezza in Cina, condannato a inizio 2020 da un tribunale cinese a 13 anni e 6 mesi di carcere per corruzione. Quando Dolkun aveva chiesto di sapere le ragioni del fermo a Roma, la Digos lo aveva informato della richiesta della Cina, che si opponeva allora e si oppone ancora oggi alla attività politica degli uiguri che vivono in esilio dalla loro patria nella regione autonoma dello Xinjiang. In sei anni, però, molto è cambiato e l’Occidente si è mosso, anche con sanzioni, in difesa del popolo uiguro. E nel 2018, con la fine del mandato di Meng, è caduta la segnalazione dell’Interpol riguardante Dolkun.

Qual è la realtà dei campi di rieducazione nello Xinjiang oggi?

È difficile ricevere informazioni direttamente da lì su quanto sta accadendo. I rapporti più recenti indicano che i campi di “rieducazione” si sono trasformati in campi di lavoro e strutture carcerarie. Il lavoro forzato per gli uiguri ha fatto parte del sistema dei campi di internamento, ma questo sviluppo suggerisce che il programma di lavoro forzato imposto dallo Stato si sta concentrando sulla detenzione di massa. Molti uiguri formalmente detenuti nei campi di internamento sono stati trasferiti in strutture di lavoro forzato, in fabbriche all’interno della regione e del Paese o in prigioni.

Si può parlare di genocidio secondo lei?

Sì, si tratta di genocidio ed è stato riconosciuto a livello internazionale come crimine contro l’umanità e genocidio da dieci parlamenti, tra cui l’Unione europea, gli Stati Uniti e Taiwan.

Che ruolo può svolgere a livello globale il Tribunale uiguro?

Il Tribunale uiguro ha pronunciato la sua sentenza definitiva, dopo aver analizzato per 18 mesi tutte le prove disponibili e ascoltato testimoni. Ha svolto un ruolo importante nelle risoluzioni parlamentari che riconoscono il genocidio uiguro. Con il verdetto in mano, stiamo esortando altri parlamenti e governi a prendere una simile decisione. Il Tribunale rimane la valutazione legale più importante finora.

Quali azioni dovrebbero intraprendere i governi occidentali per evitare di finanziare il partito-stato cinese nello Xinjiang?

Sono stati pubblicati numerosi studi e indagini sulle industrie globali e sulle loro catene di approvvigionamento macchiate dal lavoro forzato degli uiguri, l’ultimo dei quali è stato condotto dalla Sheffield Hallam University sull’industria automobilistica. Per evitare i finanziamenti, i governi occidentali devono imporre leggi e misure severe, oltre a imporre bandi al commercio contro lo Xinjiang/Turkistan orientale. Un esempio è lo statunitense Uyghur Forced Labour Prevention Act, firmato nel 2021, che vieta l’ingresso negli Stati Uniti di qualsiasi merce prodotta o fabbricata, in tutto o in parte, nella regione. Anche l’Unione europea ha proposto delle leggi che possono affrontare la questione. La direttiva relativa al dovere di diligenza delle imprese ai fini della sostenibilità e il regolamento sul lavoro forzato sono in fase di elaborazione. Tra gli Stati membri dell’Unione europea, la Germania ha la Lieferkettensorgfaltspflicht (legge sulla catena di approvvigionamento), entrata in vigore all’inizio del 2023 prima della normativa proposta dall’Unione europea. Spetta ai parlamenti nazionali cooperare tra loro. Inoltre, è compito dei governi dare vita a produttori locali e nazionali per produrre determinati beni e prodotti all’interno del proprio Paese.

E che cosa dovrebbero fare le aziende?

Molte aziende internazionali sono collegate al lavoro forzato degli uiguri anche attraverso i loro fornitori che utilizzano produttori che partecipano al programma di coercizione statale. Sebbene spesso non siano consapevoli di questi legami, le aziende devono partire dal presupposto che qualsiasi luogo di lavoro nel Turkistan orientale presenti un alto rischio di lavoro forzato. Pertanto, spetta alle aziende identificare i canali di esportazione e indagare e mappare le loro catene di fornitura, oltre a implementare protocolli di trasparenza. È loro responsabilità disimpegnarsi dalle imprese del Turkistan orientale. Le aziende internazionali che hanno ancora fabbriche lì devono chiuderle e ritirarsi dalla regione, poiché gli audit indipendenti in conformità con i principi guida delle Nazioni Unite su imprese e diritti umani sono fortemente limitati, se non impossibili.

Bandite le merci dallo Xinjiang. L’appello del leader uiguro Dolkun Isa all’Italia

Il presidente del Congresso mondiale uiguro torna a Roma dopo che sei anni e mezzo fa era stato fermato dalla Digos su segnalazione del governo cinese. A Formiche.net dice: “I rapporti più recenti indicano che i campi di rieducazione si sono trasformati in campi di lavoro e strutture carcerarie”

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