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La politica dei bonus nel nostro Paese è spesso sotto attacco. Diversi sono quelli che, in questi ultimi anni, hanno sollevato critiche circa i vari “aiuti” che lo Stato ha concesso a famiglie e imprese.

Per i più liberisti, infatti, tutto ciò significa inasprire i conti pubblici (già di per se gravati da non pochi debiti) senza essere in grado di prevedere, in realtà, quale effetto questi bonus possano garantire.

A voler essere avulsi, però, da una visione che sia totalmente riconducibile al pensiero dello scozzese Adam Smith, qualche dubbio sui crediti d’imposta sorge. E sorge nella misura in cui lo stesso Stato li disconosca quando, pressato dall’esigenza di fare cassa, mette artatamente in discussione quanto programmato.

Come può una nazione, che ha una politica economica e anche fiscale così altalenante, essere attrattiva e soprattutto credibile per chi fa impresa?

Un esempio concreto ci viene dal bonus ricerca e sviluppo, volto ad aumentare la competitività dell’industria italiana in Europa e nel mondo, attraverso un sostegno economico alle aziende nel loro percorso di innovazione tecnologica.

Esso si presenta in forma di credito di imposta fino al 20% delle spese sostenute con un tetto massimo di 4 milioni nel 2022, ed è a tutti gli effetti un bonus a fondo perduto.

Questo bonus è stato recentemente rinnovato per dieci anni, fino al 2031, con alcune modifiche rispetto al precedente. Nel 2022, il bonus ricerca e sviluppo consente di ottenere un credito che vada dal 20%, con tetto massimo a 4 milioni a un 15% di credito di imposta con tetto massimo di 2 milioni di euro (per le spese di innovazione con l’obiettivo di transizione ecologica o digitalizzazione in chiave 4.0) fino a scendere al 10% di rimborso delle spese come credito di imposta con tetto massimo a 2 milioni di euro, per innovazione tecnologica, design e ideazione estetica.

Una misura, molto ampia e in grado di coprire parzialmente investimenti notevoli in R&D, come quote di ammortamento, canoni di leasing e altre spese relative ai beni materiali mobili e ai software che vengono utilizzati durante il processo di ricerca e sviluppo fino spese dovute per il personale impiegato nelle attività e ai cosiddetti contratti di ricerca.

Una misura che nel suo complesso è utile a rilanciare la competitività sia della nostra manifattura quanto dei nostri servizi, se non fosse per un’altra longa manus dello Stato: ovvero l’Agenzia delle entrate che, facta concludentia, con il suo agire cerca di vanificare l’utilità di questo strumento.

Infatti, l’amministrazione finanziaria ha tentato più volte di minare la credibilità del bonus ricerca e sviluppo, contestando alle imprese che ne avessero fatto uso che gli investimenti fatti in tal senso non sarebbero rientrati nel novero di tale misura. Ma come può un burocrate dell’Agenzia delle entrate affermare cosa sia innovativo e cosa no? La situazione è chiara: l’Agenzia vorrebbe garantirsi il 100% del gettito che l’impresa avrebbe dovuto versare se non avesse fatto ricorso al bonus in questione.

La giustizia tributaria, però, di recente ha posto un freno alla bulimia del fisco italiano. Una sentenza di luglio 2022 della CTP di Bologna (adesso corte di giustizia tributaria di primo grado) ha dimostrato che l’Agenzia delle entrate non è in grado di affermare cosa sia innovazione e cosa, invece, non lo sia, senza ricorrere al parere tecnico del ministero dello Sviluppo Economico, che invece ha le competenze scientifiche per farlo, come ha spiegato l’avvocato tributarista Alessandro Dagnino, managing partner di Lexia Avvocati, e difensore dell’impresa alla quale l’Agenzia delle entrate contestava il bonus R&D.

Il tributarista Alessandro Dagnino ha, infatti, affermato soddisfazione su tale sentenza, che l’ha visto vincitore: “Sulle questioni oggetto della causa si sta formando una cospicua giurisprudenza favorevole alle imprese che hanno correttamente operato. Siamo felici che il caso aggiunga un ulteriore tassello nell’interpretazione dei requisiti e dell’applicazione del credito di imposta in uno dei settori decisivi per la competitività delle imprese come quello della ricerca e dello sviluppo”.

Una case history che va raccontata e che può tutelare tanti imprenditori che credono in un rilancio del Paese attraverso un sano ecosistema dell’innovazione. Insomma, rileggendo tutto, potremmo esclamare “innovazione è stata fatta!”.

Il bonus R&S tra giustizia tributaria e Agenzia delle entrate

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