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Nell’attesa di capire se e come le rivelazioni Usa sui finanziamenti di Putin a partiti e movimenti politici europei sconvolgeranno la campagna elettorale, non possiamo far altro che rituffarci nel tran tran di una competizione che i sondaggi danno con esito scontato per la vittoria del centrodestra mentre dal Pd, piuttosto confusamente bisogna dire, arrivano assicurazioni di una partita ancora contendibile  (vedi intervista di Dario Franceschini a Repubblica) e sulla necessità al Sud di “voto utile” a favore del M5S di Conte per arginare l’ondata meloniana. Il che non si capisce quanto sia conveniente e comunque non sembra un aiuto al segretario.

In apparenza neppure il duello online tra Enrico Letta e la leader di FdI Giorgia Meloni ha cambiato le carte in tavola. Nel senso che ciascuno dei due, ritrovato il format Sandra&Raimondo, ha riproposto le parole d’odine usuali senza cercare l’affondo che potesse infilzare l’avversario facendolo soccombere.

Tuttavia a ben vedere questa potrebbe rivelarsi una lettura superficiale. Nel senso che nel corso della discussione Letta e Meloni sono apparsi tra loro in sintonia molto più di quanto lo siano con i rispettivi compagni di cordata. Sulla riconferma dell’ancoraggio all’Occidente e sulla fedeltà alla Nato, come pure sulla necessità di continuare ad appoggiare il governo ucraino nella guerra contro la Russia e perfino sui temi interni come il no allo scostamento di bilancio, infatti, il linguaggio è stato comune e comuni sono apparsi gli obiettivi. Perfino sul come raggiungerli, per molti versi Sandra-Giorgia ed Enrico-Raimondo, hanno usato concetti simili.

Il che se da un lato ha messo fuorigioco “l’allarme democratico” per il preventivato trionfo del centrodestra, ed è un fatto positivo; dall’altro ha squadernato ancora una volta la contraddizione che è la palla al piede del sistema politico italiano e che sembra inamovibile. Ossia il fatto che Meloni (più vantaggiosamente) e Letta (più confusamente) guidano aggregati che sono allestiti per vincere le elezioni ma assolutamente non in grado di governare vista la netta differenziazione interna agli schieramenti. Per cui Meloni sa che se avrà più voti porrà legittimamente la questione della sua premiership ma al contempo sa anche che il traguardo non è scontato e molto tortuoso e tormentato sarà il percorso di una maggioranza formalmente coesa ma sostanzialmente divaricata. Come pure Letta, il cui obiettivo appare limitare i danni e fortificarsi in vista del diluvio che piomberà sul Nazareno ad urne chiuse,  sa che l’obiettivo governo è poco più di un miraggio al punto che esplicitamente afferma che pur essendosi alleato con Fratoianni e Bonelli anche in caso di vittoria non sarebbe possibili averli compagni di viaggio nell’azione di governo.

Insomma i leader di Pd e FdI, puntando a legittimarsi reciprocamente, ammettono che guidano coalizioni traballanti ed insicure e che pur vincendo non possono offrire agli elettori, a partire da quelli che li hanno scelti, garanzie di governabilità. Che invece è l’ingrediente fondamentale in una fase delicatissima come quella che ci piomberà addosso in autunno e di cui già si colgono le avvisaglie.

Al momento, questa condizione non sembra modificabile. Ci vorrebbero riforme strutturali delle istituzioni, una nuova legge elettorale, scomposizione e ricomposizione dei contenitori politici e soprattutto un nuovo mainstream tra partiti che sono perennemente alla ricerca di sé stessi. Potrebbe tornare utile la lezione ancora una volta di altissimo livello che Giuliano Amato, lasciando la presidenza della Consulta, ha sciorinato: negli ultimi anni il mondo è cambiato ma non in meglio, se un potere cerca di prevaricare su un altro si finisce dritti nel caos. “La soluzione non è che ciascuno dei poteri profitti delle difficoltà per fare ciò che gli pare giusto e che tuttavia tocca all’altro”. Vale per il Parlamento, per i magistrati, per ciascuna delle articolazioni dello Stato. Chissà se a qualche leader fischiano le orecchie.

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I leader di Pd e FdI, puntando a legittimarsi reciprocamente, ammettono che guidano coalizioni traballanti ed insicure e che pur vincendo non possono offrire agli elettori, a partire da quelli che li hanno scelti, garanzie di governabilità. Che invece è l’ingrediente fondamentale in una fase delicatissima come quella che ci piomberà addosso in autunno

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